Un’identità per molto tempo tenuta segreta ottiene nella maggior parte dei casi una risposta tanto automatica quanto standardizzata. Cioè lo sviluppo delle teorie più disparate. La più frequente e immotivatamente accreditata dice che sia italiano, più precisamente pugliese. Invece è nato a Il Cairo, da padre libanese e madre francese. Oltretutto ha una fisionomia che non lascia molto all’immaginazione. Si chiama George Albert Tabett, ma il mondo lo conoscerà come Ricky Shayne.
La sua musica beat trovò terreno fertile grazie alla prima ondata della British invasion (l’ingresso nelle classifiche musicali mondiali di gruppi anglosassoni, conseguenza della rapida ascesa di quattro ragazzi di Liverpool che si fanno chiamare The Beatles), dominando l’Italia con la sua Uno dei Mods, canzone che parla della rivalità tra due bande londinesi: i Mod, che come logo identificativo hanno il simbolo della Royal Air Force, e i Rocker. E’ il 1965. Nello stesso anno, a febbraio, è stato inaugurato a Roma un locale che diverrà simbolo di un’epoca. “Via Tagliamento non fu una strada nel mondo… ma il mondo in una strada”, scrive Renato Zero nel libretto del suo album Via Tagliamento 1965/1970. Anche lui gli deve tanto. Tanto da dedicare un album a quell’indirizzo e a quel periodo. Perché non è ben chiaro se il Piper sia stato un luogo o un’era geologicamente riconosciuta.
L’ha aperto un avvocato romano che ha ormai abbandonato la professione e si è dedicato alla musica. Si chiama Alberigo Crocetta, ed è lui ad aiutarci a mettere insieme i pezzi di questa storia. Perché non si limita ad aprire locali. Fa anche il produttore discografico. Ricky Shayne è uno dei suoi primi grandi artisti. Successivamente, trasforma la veneziana Nicoletta Strambelli in Patty Pravo. Qualche anno dopo, vede esibirsi al Piper una ragazza calabrese. Ha già un contratto, ma lui la scrittura per la RCA Italiana, con cui collaborava. Vuole trovarle anche un nome d’arte. Prende spunto dall’attrice preferita di lei, che in quel periodo fa incetta di premi grazie alle interpretazioni in due pellicole del livello di Rosemary’s baby e John e Mary. Mia Farrow è all’inizio della sua carriera, ma già si intravede come andrà. Il cognome, invece, deve strizzare l’occhio al mercato internazionale, e quindi essere orecchiabile a chi ascolta l’Italia da fuori.
Nel 1971 esce il primo album prodotto da Crocetta. Si chiama Oltre la collina, ed ha un discreto successo. Ma è l’anno dopo che arriva il grande successo: l’album Nel mondo, una cosa la consacra definitivamente. C’è un antefatto. Alberigo Crocetta ha lasciato la RCA Italiana e si è trasferito alla Dischi Ricordi. La sua nuova scommessa l’ha seguito, e il primo brano che registra porta la prestigiosa firma di Bruno Lauzi e Michelangelo La Bionda. Niente male, per un’artista emergente. Ma è proprio quello a frenare Dario Baldan Bembo, che ha scritto la musica e preferirebbe affidare la canzone ai Camaleonti.
La scelta invece si rivelerà azzeccata. A maggior ragione quando Domenica Rita Adriana Bertè, che ormai per tutti è Mia Martini, con quella canzone vincerà il Festivalbar 1972. Senza che nessuno potesse ancora minimamente immaginare che lo stesso brano, diverso tempo dopo, avrebbe fatto da parziale disturbo alla festa per i 40 anni di una colonna portante della storia di una squadra e di una città. Piccolo uomo è il regalo che Luciano Spalletti fa alla moglie del suo più grande calciatore in occasione dei festeggiamenti del marito. Un siparietto che chiude (speriamo) la questione. Se così fosse, la considererei passata in cavalleria.
Anche in Romania ascoltano la musica italiana. Ascoltano Andrea Bocelli, ascoltano Toto Cutugno. Ma conoscono anche i Pooh. Che, parlando di anni ’70, passarono da lì con il loro tour in cui toccarono anche Cecoslovacchia e Bulgaria. Era il 1976, 6000 presenze di media a ogni concerto e la promozione di Poohlover, l’album che conteneva la famosissima Linda. Canzone dedicata a Linda Larsen, una modella americana che partecipò alle riprese del loro special televisivo registrato a Sperlonga per l’uscita dell’album Un po’ del nostro tempo migliore, andato in onda su Raitre il 3 ottobre 1975 (ricorrenza di oggi). Non si sa se passarono da Ploiesti o da Giurgiu, le due città che si contendono la storia dell’Astra Giurgiu. Fondata a Ploiesti e da 4 anni trasferita a Giurgiu. Francesco Totti non sta tanto a sottilizzare, né su questo e né sui regali ricevuti, e giovedì fa quello che fa da sempre: disegnare calcio. L’Astra Giurgiu non sembra un avversario da far tremare le gambe, il 4-0 finale porta punti e merito.
Poi arriva l’Inter, e la Roma cambia pelle. Più per necessità che per sfizio. C’era da rivedere qualcosa, le ultime uscite di campionato avevano detto questo. E’ sorprendente l’elasticità con cui la squadra si adatta a un sistema di gioco diverso. Alla difesa a 3, al centrocampo a 5 (o 4 e mezzo, Perotti gioca altissimo) e soprattutto all’attacco a 2 punte. Salah sembra più a suo agio, e anche Dzeko giova della vicinanza di un compagno. L’esclusione di Nainggolan non era così scontata né mai possibile a cuor leggero. La titolarità di Dzeko ci mette 5 minuti a far vedere quanto può pesare all’interno di una partita importante. La reazione dopo il pareggio subito fa sperare nell’ennesima svolta dal punto di vista caratteriale.
Il Napoli cade a Bergamo e la Juventus fa il proprio dovere sul campo dell’Empoli. L’imminente Roma-Inter già nel pomeriggio era diventata qualcosa di più dell’ambizione a terza forza del campionato. “Linda fa che il sogno non ci prenda”, cantavano i Pooh. Se è vero come è vero (ma sempre se è vero) che, come dice Sarri, la Juventus fa un campionato a sè. C’è una parte di verità, però non sembra la proiezione migliore per giocare un campionato, tantomeno dopo 7 giornate. Ma chi siamo noi per dirlo?