Il Cska Mosca affronterà domani sera, nella splendida cornice del nuovo “Luzhniki”, la Roma di Eusebio Di Francesco nella quarta giornata del Girone G di Champions. Abbiamo voluto chiedere a uno dei più importanti esperti di letteratura e cultura russa, il Professor Mario Alessandro Curletto, cosa significhi il “futbol” nel paese più grande del mondo, e abbiamo ripercorso con lui un lungo e intrigante iter storico all’interno della Russia zarista, sovietica e post-sovietica, per comprendere cosa abbia portato un club escluso dai campionati nel 1953 a sfidare la Roma (per la seconda volta nell’arco di quattro anni) nel maestoso palcoscenico della Champions.
Leggendo alcuni dei suoi libri sul calcio sovietico si comprende che lei ha una passione profonda per la Russia e per questo sport… «Di norma si può scegliere un ambito di studio. A parte i classici della letteratura russa, per insegnare e fare concorsi dobbiamo conoscere anche altre sfere. I miei interessi negli ultimi anni si sono sviluppati prevalentemente nel rapporto tra cultura alta, cultura bassa, e cultura di massa. Diciamo che il mio interesse si riversa sul calcio non solo come sport, ma anche come rappresentazione letteraria e come espressione nella musica e nel balletto. I miei ambiti di studio, inoltre, sono i linguaggi della stampa pre-sovietica e sovietica. Il calcio in Russia ha avuto tante manifestazioni nella cultura, anche molto eterogenee».
Come scrive nei suoi libri, il calcio arriva in Russia nel periodo pre-sovietico… «Sì, e nasce seguendo un’evoluzione simile a quella avuta in altri luoghi. Anche in Russia il calcio viene portato dagli stranieri, specialmente inglesi. Arrivò a San Pietroburgo, come in Italia arrivò a Genova, principalmente dai porti. Nel meridione arriva a Odessa (in Ucraina). Da lì poi si trasferisce nelle città più grandi dell’Impero. Il calcio viene introdotto e diretto dagli stranieri, e viene giocato anche dai russi. All’inizio è uno sport borghese. Chi si dedica al calcio fa parte di quei circoli che praticavano sci di fondo, tennis, e altri passatempi borghesi. Da lì nascono i primi campionati ufficiali, come quello di Mosca nel 1910, dove si crea la lega calcistica moscovita. Il calcio è borghese e si adottano misure per “tenere lontani elementi indesiderati”. Quindi si organizza un campionato alternativo nella città (dove si gioca un calcio definito “selvaggio”). Anche i giornali sportivi organizzano un paio di tornei per ogni città per chi non ha i soldi per iscriversi al campionato. Ogni giocatore deve pagare per giocare. Inoltre ci sono anche i campionati studenteschi e quelli riservati ai seminaristi. Dopo la Rivoluzione, nel ’23 si comincia a delineare il modello sovietico delle polisportive istituzionali».
E il Cska rientra in questo modello… «Esattamente. Il Cska ha una storia molto particolare. Anche se la vera eccezione nel calcio sovietico è rappresentata dallo Spartak, l’unica squadra a godere di un autentico seguito popolare. Fondata dai fratelli Starostin (in particolare da Nikolaj), non era espressione di una istituzione e, per questo, divenne “la squadra del popolo”. Il Cska invece si chiamava originariamente Cdka (“Casa Centrale dell’Armata Rossa). Nel ’51 diventa Cdsa (Casa Centrale dell’Armata Sovietica). Poi nel ’60 assume il nome di Cska (Club Sportivo Centrale dell’Esercito). Il mutamento del nome deriva dai diversi aggiustamenti interni alla realtà sovietica, che non era monolitica. La squadra dell’esercito ha come prima rivale la squadra della polizia, la Dinamo, che è la squadra che fa più paura, la società del potere. Il periodo di massimo splendore del Cska si ha negli Anni 40-50 con la “Squadra dei Tenenti”, quella che porta la più grande innovazione tattica nel calcio sovietico, prima di Valeri Lobanovsky (storico tecnico della Dinamo Kiev). L’allenatore del Cska, a quei tempi, era Boris Arkadiev, che inventò il Caos Organizzato (simile al “Calcio Totale” olandese degli Anni 70). A mettere fine al predominio del Cdsa ci pensò Lavrentij Beria, Ministro degli Interni, georgiano come Stalin, Capo dell’NKVD e Presidente Onorario di tutte le Dinamo. Ad allenare la prima storica rappresentativa sovietica ai Giochi Olimpici del 1952 viene chiamato Arkadiev dell’allora Cdsa, maestro e protagonista del calcio sovietico del tempo, che però non chiama un “blocco” dei suoi giocatori, bensì cerca di convocare i migliori talenti dell’intera Unione Sovietica. Negli ottavi di finale l’URSS incontra la Jugoslavia di Tito. Nel “replay” del match (il primo incontro terminò 5-5, con una grandiosa rimonta dei sovietici, ndr), l’URSS perde per 3-1 e viene eliminata. Beria approfitta della sconfitta per incolpare Arkadiev e il Cdsa di aver infangato l’onore dell’Unione Sovietica, avendo perso contro la squadra della Jugoslavia “ribelle”. Così, il Cdsa viene escluso dal campionato, dove verrà riammesso solamente nel 1954, dopo la morte di Stalin e dello stesso Beria». (…)
PER LEGGERE L’ARTICOLO ORIGINALE CLICCARE QUI