Immaginate un database umano dell’ordine pubblico. Roberto Massucci è la memoria storica degli eventi calcistici, ne conosce vizi e virtù sul piano istituzionale, essendo incaricato di gestire la sicurezza negli stadi dal 2001. Da un anno è diventato il capo di gabinetto della questura di Roma, quindi sovrintende all’organizzazione di tutte le situazioni più delicate della città. Per capirsi: il questore D’Angelo, che si avvia a chiudere il mandato, chiede a lui se la giornata stia filando liscia (succederà anche nel corso di questa intervista). Quarantanove anni, tre figlie, romanista, proprio ieri Massucci ha invitato Lazio e Roma a un tavolo tecnico sulla sicurezza che per ragioni logistiche ha cancellato l’allenamento a porte aperte organizzato da Spalletti al centro sportivo Tre Fontane. Ci riceve nel suo grande ufficio, la sua centrale operativa, sotto a un’enorme bandiera italiana, in compagnia del vicequestore aggiunto Lucia Muscari.
Massucci, nemmeno per il derby l’Olimpico si riempie. Non è una sconfitta per le istituzioni? «A me non piace l’Olimpico vuoto o semivuoto. Spero che in futuro le cose possano cambiare».
Come cambiarle? «Con il dialogo. Lo chiarisco una volta per tutte: noi abbiamo firmato sette mesi fa un protocollo d’intesa sottoscritto dalle società di calcio e dal Coni. Prevede che esista l’ufficio SLO, che è preposto al dialogo con le tifoserie. Solo che gli ultrà della Curva Sud non sono disposti a parlare. Nemmeno con Sebino Nela, che pure in passato è stato un calciatore molto rappresentativo della Roma».
Perché i laziali hanno invece deciso di rientrare in Curva Nord? «Perché i tifosi sono stati trascinati dai risultati sorprendenti della squadra. E perché evidentemente la società, nonostante i rapporti difficili tra Lotito e gli ultrà, è riuscita a creare una relazione differente con la sua gente».
E’ vero che la questura di Roma è la più strenua sostenitrice delle barriere? «La questura di Roma è la più strenua sostenitrice della legalità. Ma noi non siamo innamorati delle barriere, tassello insignificante di un percorso che è stato intrapreso allo stadio Olimpico».
Può chiarire meglio? «Lo stadio è più sicuro di quanto non fosse prima. E anche più fruibile: abbiamo migliorato la viabilità, le aree parcheggio, i mezzi pubblici».
A dire il vero, una delle lamentele della gente è che sia impossibile arrivare all’Olimpico tra controlli, parcheggi e mezzi pubblici.– «Non è così. O se è così lo è sempre stato. Faccio io una domanda a lei: perché per il rugby contro gli All Blacks c’erano 64.000 persone e non c’è stato neppure un problema?».
A parte l’unicità dell’evento, forse la clientela del calcio è diversa… «Non creda. Molte delle persone che vanno a vedere la Nazionale di rugby sono anche tifosi di calcio. Semmai è diversa la cultura sportiva. E penso che sia responsabilità del calcio rivedere certi rapporti con le tifoserie per recuperare un posto di nobiltà».
I romanisti dicono: giù le barriere e noi torniamo.
«Non è così che funziona. Primo: i settori devono essere divisi per permettere di identificare i responsabili di comportamenti violenti o comunque illegali. Secondo: prima del nostro intervento la situazione delle due curve dell’Olimpico era fuori controllo tra attività illecite, esplosione di petardi, esposizione di striscioni offensivi, arroganza del potere degli ultrà che addirittura sono arrivati a minacciare i giocatori. Se questi soggetti ritengono di poter ripristinare il caos di prima, non accadrà mai».
Non pensa che, finita la fase di emergenza, si possa semplicemente tornare alla normalità?«Certamente. Ma la normalità è questa. Non quella di prima. E non mi riferisco alle barriere ma al rispetto delle regole. Sia ben chiaro, perché di fronte a un dialogo costruttivo noi siamo disposti a rivedere l’intero sistema organizzativo».
Solo a Roma le curve sono divise. Negli altri stadi infatti nessuno protesta… «D’accordo. Ma non capisco perché un modello di legalità, invece di essere segnalato come esempio positivo, venga utilizzato per alimentare un gioco al ribasso. La divisione serve anche a disarticolare i gruppi ultrà evitando che tra loro si insinui qualche comportamento delinquenziale. Non tutti gli ultrà sono criminali, naturalmente, ma lo stadio spesso viene percepito come una zona franca dove si può fare tutto, quindi anche provocare incidenti. E non è così: certe realtà non sono più tollerabili».
Avete multato un tifoso anche per uno striscione su Alberto Sordi… «Bastava segnalarlo al Gos. Non è stato fatto. Quindi sono state violate le regole».
Un tempo le forze dell’ordine dividevano le tifoserie. Adesso invece la gran parte degli incidenti avviene tra tifosi e polizia. Non vede responsabilità nelle forze dell’ordine? «Non scherziamo. Secondo voi un poliziotto ha interesse a provocare uno scontro? Suvvia. Inoltre il clima è molto più disteso rispetto a dieci anni fa: i feriti negli stadi, tra forze dell’ordine e tifosi, sono passati da 1.000 a 36».
Tornando al derby, perché non riaprire almeno la Tribuna Tevere ai tifosi della squadra in trasferta? «Mi sembra una strada attuabile. Ma nessuno ce l’ha chiesto». Quando riusciremo a rivedere un derby di Roma pieno? «Spero presto. E’ quello che farebbe felici tutti. Ma credo che sarà necessario attendere una specie di ricambio generazionale tra le tifoserie. Posso citarle un esempio».
Faccia pure… «Roma-Real Madrid della scorsa stagione. Gli ultrà sono rimasti fuori eppure l’Olimpico era pieno. In presenza di un grande evento, con grandi atleti in campo, gli stadi italiani si riempiono ancora. E le dico anche per onestà intellettuale che quella sera la nostra organizzazione non fu perfetta: ci furono dei ritardi negli ingressi con proteste giustificate del pubblico».
Scusi, Massucci, ma stavolta la Curva Sud resta vuota anche in mancanza degli ultrà… «Si è creata un’onda virale generata sempre dagli ultrà, che hanno interesse a veicolare i loro messaggi, e buona parte del pubblico non ha piacere ad andare allo stadio sapendo che manca la componente più calda del tifo».