Qualcuno la chiama una svolta epocale, qualcuno altro l’inzio di una nuova era. Di certo c’è che da ieri la storia della Roma in Borsa si è ufficialmente chiusa, ben 8.149 giorni dopo il suo sbarco, il 23 maggio 2000, quando fu il presidente Franco Sensi a portare il club giallorosso a Piazza Affari con una quotazione di 5,55 euro per ogni singola azione.
Ieri la Roma ha ufficializzato l’uscita con un comunicato, pubblicato sul sito e datato Houston. Il riferimento è all’offerta pubblica di acquisto volontaria totalitaria promossa da Romulus and Remus Investments LLC su un numero massimo di 62.918.072 azioni, opa che tecnicamente si è conclusa ieri con la procedura congiunta sulle azioni residue: 24.360.863, pari al 3,874% del capitale sociale, con un esborso economico di 10.962.388,35 euro (la scia finale dello squeeze out). Cifra che fa parte di quei 38 milioni di euro che erano già stati messi in preventivo dai Friedkin per andare a completare l’operazione, con i titolari delle azioni residue che incasseranno 0,45 euro ad azione. Da ieri, dunque, la Roma detiene l’intero pacchetto azionario, il 100% del proprio capitale sociale.
Ma ora cosa cambia davvero? Prima di tutto la vita societaria sarà più snella, l’operatività sarà più semplice. Anche il player trading (il calciomercato) sarà più semplice e la Roma avrà le mani più libere nelle operazioni che da completare. In più c’è lo stadio, che può portare a rendere l’operazione produttiva dal punto di vista economico. La costruzione dell’impianto di proprietà finirà infatti con dare maggiore valore dal punto di vista patrimoniale al club, rendendo di fatto più alto – in proiezione – anche il valore delle azioni acquistate con l’Opa. Insomma, finisce un’era, ma se ne apre un’altra.
FONTE: La Gazzetta dello Sport – A. Pugliese