Roba da rimanere assolutamente attoniti. L’esibizione di Gianluca Lapadula alla Domenica Sportiva mentre suona Chopin al pianoforte è qualcosa che nel calcio e nel mondo di oggi, dove tutto è stato già visto e scoperto, non trova radici. Certo, Fryderyk Chopin era tutt’altra cosa. E Mozart probabilmente anche. Ma vedere un calciatore maneggiare con discreta tecnica qualcosa di molto più classico rispetto a Instagram rimane impresso.
Ovazione in studio. “Remember that piano, so delightful unusual”, avrebbe aggiunto Paul Mazzolini, in arte Gazebo, se fosse stato presente, rifacendosi alla sua I like Chopin. Lui che nel suo più grande successo (era il 1983) raccontava la storia d’amore tra il famoso compositore e la scrittrice George Sand, pseudonimo maschile di Amantine Aurore Lucile Dupin. La separazione dei genitori quando era bambina, il convento di suore inglesi, un matrimonio fallito con un barone. Quindi il trasferimento a Parigi, dove conoscerà Chopin quando già era una delle autrici più prolifiche della letteratura francese. Attività molto apprezzata almeno fino a quando nel dicembre 1863, in seguito alla sua pubblica opposizione alla politica temporalistica e illiberale del Papato, tutte le sue opere vennero messe all’Indice. Ovvero l’elenco delle pubblicazioni proibite dalla Chiesa Cattolica, rimasto in vigore fino al 1966.
Il brano, così come l’album che lo contiene e che si intitola Gazebo, è prodotto da una casa discografica che ebbe un ruolo fondamentale quanto innovativo nella musica italiana: la Baby Records. Furono loro a produrre i grandi successi di Pupo, Ricchi e Poveri, Al Bano e Romina Power e una parte piuttosto consistente, come abbiamo visto, della Italo Disco. Ma non solo: anche alcune famose compilation come Mixage e Bimbomix. Quella, per intenderci, che come testimonial aveva Cin Ciao Lin. Inoltre si dedicarono, con grande profitto, anche a una parte di produzione strumentale. Lo fecero principalmente con i Rondò Veneziano: nove musicisti che suonavano in abiti del XVIII secolo. Il loro primo brano, che si chiamava proprio Rondò veneziano, venne scelto da Silvio Berlusconi nel gennaio 1980 come sigla di apertura e chiusura della programmazione della nascente Canale 5. Passando così in tv per sei volte al giorno.
Ma Udine si trova molto più a est, Venezia è lontana. O meglio, è più vicina. Per quanto è lì che ritrovano il pallone calciato da Dzeko, un rigore che poteva chiudere la partita dopo neanche 20 minuti e invece ci è toccato aspettare fino all’ultimo secondo. Alla Dacia Arena niente Italo Disco. Dopo l’inno della serie A preferiscono l’Eurodance, e possibilmente un artista di quelle parti. Altrimenti Gazebo, nato a Beirut da padre friulano e madre americana, sarebbe andato più che bene. Invece suonano Children di Robert Miles, al secolo Roberto Concina, uno svizzero figlio di emigrati italiani che però tornarono e si stabilirono in provincia di Udine. Uno dei più grandi successi musicali del 1996, che tra l’altro nel videoclip mostra immagini di vari paesi (Inghilterra e Svizzera principalmente) ma soprattutto della Francia, Parigi in particolare.
Quando però smette quell’inconfondibile melodia, è una pioggia di gioco della Roma. Che prima se lo mangia, poi ci va vicino, poi segna. Nainggolan non fa solo quello, è una presenza costante in ogni situazione di campo. Fazio e Dzeko, zone di competenza diametralmente opposte, si buttano sullo stesso pallone e lì si capisce che il principio di sacrificio e abnegazione di questa squadra ha raggiunto livelli che raramente abbiamo visto nella storia contemporanea. La Juventus perde a Firenze, dimostrando ancora una volta che lontano dal proprio stadio può soffrire una certa aggressività. Il calendario ci dice che deve ancora giocare a Napoli, a Bergamo. A Roma. Perché anche noi, in questo girone di ritorno appena cominciato, giocheremo in casa la maggior parte delle partite più difficili. Anche noi, ma anche loro.
Per chiudere torniamo a Lapadula. Che comunque pare sia stato scelto anche lui da Berlusconi in persona per arricchire l’attacco del Milan. Ha 26 anni, torinese di nascita ma pugliese da parte paterna e peruviano da parte materna, e alle spalle solo gavetta. Addirittura, per rilanciarsi, dovette andare a giocare ancora più a est di Udine. A Nova Gorica, nell’ND Gorica, campionato sloveno. Parliamo di tre stagioni fa, mica tantissime. Poi Teramo, Pescara e la grande occasione. Ogni volta che si alza dalla panchina c’è un’ovazione pure a San Siro. Anche se la nostra sensazione è che dalla panchina si alzerà sempre meno, perché sarà molto più spesso in campo. A noi ovviamente interessa fino a un certo punto, sono assolutamente d’accordo con voi. Però i contorni di questa storia sembrano avvicinare un po’ il mondo del calcio, continuamente più inarrivabile, a quello da cui noi siamo abituati a farci circondare.
Tutto questo tenendo conto che Gazebo e Parigi hanno un altro segmento di incontro piuttosto importante. Perché Gazebo è l’autore del testo di Dolce vita, il brano più importante (anche perché la concorrenza non è per niente spietata) di Ryan Paris. Una breve apparizione cinematografica in C’era una volta in America di Sergio Leone, un discreto ma non indimenticabile successo discografico in quegli anni, e un futuro vissuto principalmente in Germania ma comunque a fare musica. E che in onore a quel cognome girerà il videoclip della canzone proprio a Parigi, con la Tour Eiffel sullo sfondo di tante inquadrature.
Ma Dolce vita non è altro che una canzone dal titolo romanissimo, e Ryan Paris non è altro che il nome d’arte del romanissimo Fabio Roscioli. Che ho conosciuto parecchi anni dopo, quando partecipò a un festival organizzato da una società con cui collaboravo. Me lo presentano durante le prove, e lo fanno ovviamente come Ryan Paris. Ovattando tutto il momento con lo charme che la sola pronuncia francese è in grado di creare. E di richiamare in seguito, quando si tratta di ricostruirlo. Ma la manifestazione (voluta o meno) della genesi di ognuno non è solita farsi attendere, tantomeno se di mezzo c’è “questa città che è magica”. Ci stringiamo la mano, e lui subito dopo se la picchia su tutte le tasche dei pantaloni in pelle neri esclamando un romanissimo: “’Ndò ‘o messe ‘e sigarette?”