Seppur con la macchia che in alcun modo però può essere riconducibile all’operato sul campo dell’arbitro – e ci riferiamo ovviamente a quella curiosa applicazione umana che ha anticipato il momento del tocco di tacco di Vlahovic a Rabiot nella rielaborazione grafica dell’azione del gol decisivo – stavolta nella valutazione generale dell’ultima partita del 2023 bisogna partire dai complimenti al signor Sozza, misurato ed equilibrato nella valutazione di tutti gli episodi e capace anche di far correre il cronometro con un grande senso della misura: perché lo zero di recupero nel primo tempo ha corrisposto a poco più di trenta minuti di gioco effettivo e i 6 minuti e mezzo della ripresa hanno compensato le perdite di tempo fino a conteggiare altri trenta minuti (scarsi) di gioco effettivo.
Così alla fine si è giocato per poco più di sessanta minuti, quota che per la Serie A è quasi un record ed è anche esattamente il tempo che da più parti si vorrebbe conteggiare per l’ideale svolgimento di una gara di calcio. Detto dell’arbitraggio si può affermare che altri complimenti li meritino anche i due allenatori che hanno regalato alla platea una gara tatticamente molto interessante anche se la trama della partita non è stata troppo spettacolare.
Due 352 a confronto. Da un lato la Juventus, con i suoi centrali larghissimi nell’impostazione, il guizzo delle posizioni intercambiabili di Weah e McKennie, una volta mezzali e una volta quinti di centrocampo, con la scelta tecnica di Yildiz al posto di Chiesa e la ricerca sistematica delle linee di passaggio su Vlahovic dalla parte di centrocampo in cui non sempre la Roma ha chiuso gli spazi sulle uscite di Bove.
Dall’altro lato la Roma, con i suoi centrali assai più stretti, con la posizione spuria di Bove più alto di Cristante e in pressione su Gatti, a compensare lo sbilanciamento sul centrodestra di Dybala, con gli inserimenti profondi di Kristensen, il baricentro alto e il possesso corto, con quel Lukaku perennemente di spalle rispetto alla porta di Szcsesny (e alla marcatura di Bremer) e quasi mai disposto ad attaccare la profondità nel cuore dell’area di rigore. Chiaro che in una partita così rigidamente impostata non siano arrivate reti in abbondanza, chiaro che i tiri in porta siano stati così pochi (quattro a due), chiaro che in certi contesti chi va in vantaggio ha la quasi certezza di portare a casa il risultato. Eppure di occasioni per entrambe le squadra ce ne sono state (due per parte in quel primo tempo così ben giocato soprattutto dalla Roma) e il pubblico si è comunque divertito.
Dei due tempi della Roma sono da sottolineare due aspetti. Il primo è un inconveniente che nella prima frazione di gara si è verificato spesso, tanto da far pensare che non si sia trattato di una casualità, quanto di una scelta ricercata da Allegri: l’attacco diretto alle spalle di Bove con l’impostazione dal basso dei difensori. Andando a rivedere gli episodi, già al 9’ Vlahovic ha ricevuto la palla senza alcun filtro di metà campo romanista, ha guadagato terreno e ha calciato fuori. All’11’ Bremer ha trovato Vlahovic con Ndicka uscito su McKennie (e Bove su Gatti), dal serbo è arrivata la sponda per Yildiz che poi ha chiuso il triangolo facendo ripartire il compagno che è andato fino in fondo e poi ha calciato di destro, ancora fuori.
Stessa cosa al 19’: su Gatti è uscito Bove, Ndicka è andato in pressione su Weah (centrale, con McKennie stavolta largo) e Vlahovic ha ricevuto la palla con solo Llorente alle spalle, con un movimento di bacino lo ha spostato e lo ha mandato esterno e lui si è girato verso l’interno ed è andato al tiro di sinistro, salvato da Mancini. Poi la questione si è risolta un po’ per i meccanismi di scalatura applicati in maniera più rapida e un po’ perché le pressioni offensive romaniste hanno funzionato meglio inibendo o comunque rallentando gli sviluppi offensivi dei padroni di casa.
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FONTE: Il Romanista – D. Lo Monaco