L’unica cosa realmente preoccupante della mancata vittoria della Roma domenica a Genova è la frase di Daniele De Rossi al termine della partita: «Alla squadra non ho detto io di abbassarsi». Tutto il resto, presunti errori commessi compresi, è ordinaria amministrazione e non dovrebbe inficiare in alcun modo il giudizio (positivo) che tutti hanno maturato lo scorso anno della gestione De Rossi e della campagna di rafforzamento sul mercato portata avanti dalla società e dall’allenatore con investimenti imponenti e l’allestimento di una rosa in grado di competere per gli obiettivi stagionali.
Da che calcio è calcio, in ogni parte del mondo, in qualsiasi categoria, la squadra che sta perdendo di misura produce nel finale di partita uno sforzo che consente di moltiplicare le energie mentre chi difende lo fa in maniera più o meno affannata.
Da che calcio è calcio un cross tagliato bene in area può finire sulla testa di un avversario come può essere spazzato dalla testa di un difendente. Da che calcio è calcio in queste situazioni si può commettere un errore (solo sulla carta siamo bravi tutti), perché un inserimento a sorpresa, un contromovimento, uno spostamento di un corpo in velocità di 5 cm toglie o offre il vantaggio di arrivare prima sul pallone e tutti gli sperticati elogi sul coraggio e la determinazione di chi ha segnato e sulla pavidità e sull’approssimazione di chi ha subito valgono per quello che sono: aria fritta.
Certo, ogni analista tattico ha il dovere di individuare gli errori commessi e di mostrarli ai propri giocatori per evitare almeno che manchi nel proprio bagaglio la conoscenza almeno teorica della cosa che è più giusto fare in ogni determinato momento. E invece alla fine è solo il risultato a determinare tutto. Perché se la Roma avesse portato a casa come a un certo punto è sembrato altamente probabile la vittoria e di conseguenza tre punti, oggi i giudizi sull’allenatore, sui giocatori e persino sulle scelte tattiche sarebbero totalmente differenti da quelli disfattisti che abbiamo sentito dal pomeriggio di domenica fino alla serata di ieri.
E prima di analizzare nel dettaglio quello che è accaduto nel primo e poi nel secondo tempo della sfida, perché di due partite diverse si tratta, torniamo per un attimo alla preoccupante considerazione iniziale, quella relativa alla frase di De Rossi al termine della partita. Se, infatti, dopo il vantaggio e soprattutto dopo l’uscita forzata di Saelemaekers, la Roma ha progressivamente perso quote significative di terreno abbassando i quinti senza mai cambiare sistema di gioco, aumentando gli elementi conservativi e tenendo in panchina quelli più offensivi (Soulé), era persino inevitabile, quasi a prescindere da quello che può aver detto l’allenatore all’intervallo, che la Roma desse l’impressione di voler difendere il minimo vantaggio conseguito piuttosto che andare all’assalto per cercare la rete della sicurezza.
Quella frase di De Rossi, però, testimonia che questa squadra non ha trovato ancora la sua forza intrinseca, non sa ancora se la sua anima è quella di una squadra offensiva, sempre forte nelle pressioni, col baricentro alto, la difesa a metà campo in continuo assetto da guerriglia o se invece è una di quelle formazioni chiamate ad adattarsi alle circostanze ambientali, di risultato o di avversari, caratteristica tipica delle squadre di secondo piano oppure di allenatori che non fanno del calcio offensivo il proprio credo principale.
De Rossi ripete spesso che non c’è da vergognarsi se a volte la partita ti porta a dover difendere basso, e ci mancherebbe altro. Diventa perfino plausibile, dunque, che in quella circostanza questa frase sia risuonata nelle orecchie di qualche giocatore. Da qui la sorpresa per le sue parole: ci piacerebbe, dunque, sapere che cosa ha detto all’intervallo, perché nel secondo tempo la Roma è sembrata proprio un’altra squadra.
Delle due l’una: se non lo ha chiesto e la sua squadra lo ha fatto è segno che qualcosa sotto il profilo almeno della comunicazione è venuto a mancare e questo significa quantomeno che non è stata ancora trasmessa quella mentalità inattaccabile che una squadra di De Rossi presumiamo debba avere. Oppure non lo ha detto ma ha fatto solo capire che ci sarebbe stato bisogno di maggior accortezza e il cambio Hermoso-Saelemaekers può essere apparso a tutti come una inevitabile conferma dell’atteggiamento che in quel momento si stava richiedendo.
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FONTE: Il Romanista – D. Lo Monaco