Ci sono le notti da romanisti. Notti che non vedono rotolare il pallone su un campo di calcio, tipo l’ultima luce a San Siro di domenica, ma che con la Roma c’entrano comunque. Notti che per chi è impegnato in prima persona si compiono dietro una scrivania di uno studio legale per arrivare a un accordo. Notti che per il tifoso si consumano in tanti modi diversi. Chi da casa con un cellulare in mano a straparlare su una chat di whatsapp o su Facebook attendendo il post dell’interlocutore ritenuto attendibile.
Chi va direttamente dove si consuma l’evento per stare vicino alla “cosa” e condividere con altri uno stato d’animo tutt’altro che sereno. Chi decide di non tornare a casa, mettendo una scusa lavorativa alla moglie, per fare più volte il giro del Raccordo ascoltando la radio di riferimento in attesa di aggiornamenti freschi. Essere romanisti – soprattutto negli ultimi anni – non ha significato solo seguire dal vivo o dalla tv una giocata di Totti o un tackle di De Rossi, ha rappresentato anche un’enorme esperienza formativa su temi e dinamiche che con il calcio non c’entrano proprio niente.
Sì, formativa perché per stare appresso a tutto è stato necessario avere a che fare pure con materie economiche e politiche. Basti ricordare la notte dell’8 luglio 2010, quella che sancisce l’accordo tra la famiglia Sensi e UniCredit per l’estinzione del debito. È in ballo il futuro della Roma. Gente che dalle prime ore del mattino si ritrova in zona Collina Fleming davanti all’ufficio dell’avvocato Cesare Ruperto, l’uomo deputato a dirimere la matassa di questo arbitrato.
Ore di attesa snervanti, fino alla tarda serata. Pure bandiere biancocelesti spuntate da balconi circostanti e prontamente rimosse dall’avvocato Antonio Conte, che poi dichiara: “Mi sarei vergognato se non l’avessi tolta”. Momenti di tensione, voci che circolano incontrollate tra i tanti cronisti al seguito, fino al palesarsi degli uomini coinvolti nell’affare, tutti visibilmente provati. Ruperto dice: “C’è un accordo di massima e collaborazione reciproca per arrivare a una conclusione, ma dobbiamo puntualizzare tutto. Questa è la fase delle puntuazioni”.
Puntuazioni, “termine del linguaggio giuridico che indica la precisazione scritta dei punti essenziali sui quali si dovrà basare la stipulazione di un contratto”. Da un gol a una puntuazione, chi l’avrebbe mai immaginato. E chi avrebbe immaginato che un passaggio di proprietà dell’Associazione Sportiva della Capitale sarebbe stato sancito in un grattacielo di Boston, ufficio “Bingham”, al tredicesimo piano dell’edificio al numero 1 di Federal Street.
È il 15 aprile 2011, il gruppo statunitense guidato da Thomas Di Benedetto e James Pallotta acquisisce la maggioranza del club capitolino. Ma per arrivare al punto ce ne vuole. Stavolta i tifosi non possono seguire l’evento in loco, devono affidarsi alle notizie dei giornalisti inviati. Nel corso della giornata alcuni organi di informazione danno già per concluso e ufficiale il “deal”, ma di ufficiale non c’è ancora nulla. Si cerca di acchiappare qualche click in più in un momento storico per il calcio italiano, che si appresta ad accogliere il primo proprietario straniero.
In attesa dell’annuncio, in rete si scatenano discussioni chilometriche all’insegna di parole come “opa”, “flottante”, “capitale sociale”, “patti parasociali”. Sembrano stralci de “Il sole 24 ore”. Le radio locali decidono di andare in diretta ad oltranza in attesa della fumata bianca dando spazio alle dirette dei nottambuli romanisti. L’agognato “closing” arriva quando in America sono quasi le 19 e in Italia è l’una di notte. Chi è a Boston può andare a cena, chi è a Roma può mettersi a letto sereno e spegnere il computer.
E poi si arriva ai giorni nostri, alle cronache recenti sullo stadio della Roma. In città divampa la polemica tra i pro e i contro. Ci si divide, naturalmente, come ai tempi dei Guelfi e Ghibellini anche per un’opera senza precedenti. Diventa d’uso comune il vocabolo “cubatura”, alcuni si scoprono esperti di vincoli paesaggistici, rischi idrogeologici o “idraulici” per i meno attenti. Parlano tutti dell’affaire stadio, avendo a disposizione una vetrina di richiamo popolare. Ma fa parte del gioco.
Venerdì 24 febbraio 2017 dovrebbe essere un giorno importante per il futuro dell’impianto a Tor di Valle. In Campidoglio è previsto un incontro tra la Giunta Comunale e i proponenti per arrivare a un punto d’incontro. Qualche centinaio di tifosi decide di salire una delle scalinate più famose per far sentire il proprio appoggio alla società giallorossa. “Vogliamo lo stadio”, è il grido che si alza sotto l’ufficio di riferimento del Sindaco Raggi. È una giornata convulsa, il primo cittadino viene ricoverato di primo mattino per accertamenti in seguito a un malore. Salta tutto? No, il meeting è solo spostato di qualche ora al pomeriggio. Alle 14. No alle 15. Meglio alle 17. Si fa tutto alle 19. Facciamo alle 21. “Quando ve pare, l’importante che si faccia quest’incontro”, osserva qualcuno dei presenti.
Per non parlare di chi non è lì fisicamente, ma è presente con il cuore seguendo a distanza, impazzendo con uno smartphone in mano. L’incontro alla fine si tiene e l’accordo viene raggiunto. “Lo stadio si fa”, annunciano il DG Mauro Baldissoni e il Sindaco Virginia Raggi a telecamere accese e taccuini aperti. Tutto questo al termine di un’altra notte da romanisti.