Sono presumibilmente pochi, nel mondo, i caffè che possono vantarsi di avere un quadro del 1901 appeso alle proprie pareti. Uno di questi è a Praga. Si trova di fronte al Teatro Nazionale, ed entrando si può ammirare l’opera più famosa del pittore e illustratore Viktor Oliva. Che non esitò a lasciare il quadro al caffè che frequentava spesso. Non è comunque per questo che quei locali brulicano di storia. Ma perché, dopo il colpo di stato del 1948 che importò il regime in Cecoslovacchia, diventarono il ritrovo abituale dei dissidenti.
Lì nacque il Charta 77, la più importante iniziativa del dissenso. Un documento che reclamava più rispetto per i diritti umani e civili. In Cecoslovacchia e non solo. Diventò in seguito il nome del movimento che aveva tra le sue personalità più in vista lo scrittore teatrale Vaclav Havel e Alexander Dubcek, colui che salì al potere durante la Primavera di Praga, un intermezzo di liberalizzazione politica nel 1968. Fu il primo a sostenere che il paese doveva essere diviso tra Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca. Succederà, ma parecchi anni dopo.
Quei mesi concitati cambiarono parecchio la loro esistenza. Ma entrambi saranno protagonisti nella Rivoluzione di velluto, che nel novembre 1989 segnò la caduta del regime. In particolare Havel. Prossimo a diventare primo attore di un copione che nemmeno lui, drammaturgo dell’assurdo, avrebbe pensato di scrivere né tantomeno di interpretare. Assumerà infatti la carica di Presidente della Cecoslovacchia. Sarà l’ultimo in ordine cronologico, e il primo della Repubblica Ceca. Tutto questo però mantenendo le vecchie abitudini. Tra cui quella di frequentare quel caffè di fronte al Teatro Nazionale: il Cafè Slavia.
D’altronde venne bandito dal teatro in seguito alla sua intensa attività politica, che culminò con la scrittura del Charta 77. L’apparente motivo scatenante fu l’arresto di alcuni membri dei Plastic People Of The Universe, un gruppo rock psichedelico che (con influenze che rimandavano ai Velvet Underground) aveva l’intento di rappresentare in musica la Praga progressista. Lo faceva attraverso i testi di Egon Bondy, il principale esponente dell’underground cecoslovacco, poeta e filosofo in egual misura. Erano osteggiati dal regime tanto da essere messi al bando. Assistere ai loro concerti o comprare i loro dischi significava, prima del 1989, essere fuorilegge.
Nonostante questo, erano la band di riferimento di un’intera tifoseria. Quella della squadra che rappresentava intellettuali, studenti e borghesia della capitale. Nata sul finire del secolo precedente, prese il nome di un circolo sportivo-letterario in cui l’unica lingua ammessa era il ceco. Nome che era lo stesso del caffè preferito da Vaclav Havel: lo Slavia Praga. Cambiano gli avversari, cambiano i tempi, ma ogni volta che si scende sul prato dell’Olimpico la sera del 19 marzo il pensiero è qualcosa di ricorrente. Sono passati 21 anni da quella sera del 1996 ma è un ricordo che stenta a passare. Anche perché questo è stato spesso periodo di eliminazioni europee. Lo è stato anche quest’anno.
E’ come riguardare un film già visto. A strettissimo giro di posta oltretutto. Come il gol di Diakhaby di giovedì. L’unica differenza rispetto all’andata è che il fallo fischiato a Rudiger è sembrato troppo fiscale. Il resto è pressochè uguale: punizione dalla destra, colpo di testa, gol. Quella invece fu la sera dell’ultimo gol di Giuseppe Giannini con la Roma. La sera della sua ultima corsa sotto una Curva Sud gremita e colorata. Uno dei primi a raggiungerlo è un giovanissimo Francesco Totti, in un ideale passaggio di consegne avvenuto (in maniera molto romanista) in una delle serate più amare che ricordiamo. Ancora non sappiamo se anche stavolta ci saranno passaggi di consegne all’orizzonte. Certo non tira una grandissima aria, nella polemica aperta di Spalletti con la stampa romana e nel rimbalzo di responsabilità tra Presidente e allenatore sulla definizione del futuro tecnico di questa squadra. A meno che questa spettacolarizzazione del superfluo non serva soltanto a fare da parafulmine al gruppo, alla sua compattezza o ad altre situazioni di cui non siamo, e non possiamo, essere a conoscenza.
Rimane che usciamo dall’Europa League per colpa di un loro gol che poteva essere annullato (il 4-2 di Lacazette all’andata, per la sensazione che non fosse di Lacazette in quanto leggermente deviato da Cornet che era in fuorigioco). Sommato a un gol nostro ingiustamente annullato al ritorno, un fuorigioco fischiato erroneamente a El Shaarawy che ha portato poi Dzeko a mettere in rete. Sarebbe stato il 3-1 che ci avrebbe qualificato. Due episodi difficilissimi da vedere, quasi impercettibili. Sappiamo ormai da tempo che la nostra storia è pressochè basata su sfumature di questo tipo, ovviamente non è lì che dobbiamo recriminare. Ma nell’aver totalmente regalato un tempo (e 3 gol) agli avversari nell’arco del doppio confronto.
Il 3-1 che non servì contro lo Slavia Praga. La squadra del nazionalismo e del progressismo, e di conseguenza di quegli elementi ritenuti di potenziale disturbo in un momento storico in cui la testa del paese aveva tutt’altra ideologia. Infatti dominò in patria fino all’arrivo del regime. Che la relegò all’anonimato, alla denominazione temporanea di Dynamo Praga, e allo stridere con il proprio passato. Scritto anche da personaggi come Josef Bican, detto Pepi. Austriaco naturalizzato cecoslovacco, un attaccante eccezionale che secondo alcune statistiche è il calciatore più prolifico di tutti i tempi. Il carattere non era da meno, in quanto si rifiutò di aderire sia al partito nazionalsocialista in Austria sia, anni dopo, a quello comunista in Cecoslovacchia.
Una decisone che gli creò parecchi problemi a Praga: perse alcune proprietà e a fine carriera venne mandato a lavorare come operaio alla stazione ferroviaria di Holevice. Ma questo “borghese austriaco” (come lo vedevano quelli del Partito, che avevano grosse difficoltà ad accettarne la fama) è anche l’unico calciatore della storia ad aver segnato con tre Nazionali diverse: Austria, Cecoslovacchia e Boemia e Moravia, perché nel 1939 anche il Protettorato voluto dal Terzo Reich aveva una Nazionale. Con cui Bican giocò due partite, in una delle quali segnò una tripletta alla Germania, a quei tedeschi che avevano invaso le aree di lingua ceca trasformandole in una zona sotto il loro controllo.
Uno scudetto, lo Slavia Praga, tornerà a vincerlo proprio pochi mesi dopo quel 19 marzo. A conferma che era comunque una buonissima squadra. I cui giocatori più rappresentativi porteranno anche la Repubblica Ceca fino alla finale, persa, degli Europei 1996. Quando di nuovo la Germania modificò l’incedere degli eventi cechi. La loro naturale contrapposizione è ovviamente lo Sparta Praga, la squadra dalle radici operaie. Cosa che negli ultimi tempi ha ampliato il proprio senso di essere. Da quando al comando c’è la famiglia Rezes, che è proprietaria delle acciaierie Kosice. In questo 19 marzo, invece, di fronte ci troviamo il Sassuolo. Il cui presidente Giorgio Squinzi è proprietario di un’azienda di materiali chimici per l’edilizia. Oltre che ex Presidente di Confindustria. Finisce 3-1. Come in quella sera del 1996.
Con uno sviluppo pratico ed emozionale totalmente diverso. Così come diversa è stata la nostra reazione al fischio finale. Anche allora, come giovedì, è stato un gol a fare la differenza. Con il Lione quello che non abbiamo segnato, con lo Slavia Praga quello che abbiamo subito nei tempi supplementari. A un passo dall’impresa storica di ribaltare il 2-0 dell’andata. Un copione che nemmeno Vaclav Havel, drammaturgo dell’assurdo, avrebbe pensato di scrivere. O forse si, se fosse stato a conoscenza della nostra natura. Di certo era un grande appassionato di musica e un grande ammiratore di Frank Zappa, tanto che nel 1990 lo avrebbe voluto come Ministro della cultura e Ambasciatore per il commercio e il turismo. Fu il Segretario di Stato USA James Baker in persona a chiedergli di rinunciare. Motivo: un vecchio litigio tra sua moglie Susan e il musicista.
Che la definì una “casalinga di Washington” quando lei, insieme ad altre quattro mogli di uomini politici (tra cui quella di Al Gore, Tipper), fondò il P.M.R.C.. Un centro di documentazione che aveva l’intento di classificare la musica secondo criteri moralizzatori, utilizzando un meccanismo già in funzione per il cinema. Un’associazione no-profit che, ricevendo finanziamenti da fondazioni politicamente vicine a Ronald Reagan, andò ad intervenire sui network televisivi e radiofonici grazie alle importanti conoscenze di cui era a disposizione. Il tutto si risolse quasi nel nulla. Benchè le audizioni del settembre 1985 scatenarono negli USA un effetto mediatico che in tanti valutarono di molto superiore a quello di qualsiasi altra procedura legislativa di quel tipo, incluse quelle sui preventivi di spesa. Può bastare a farci sentire meno unici nella spettacolarizzazione del superfluo?