L’accesso negato per «motivi di riservatezza», il parere non disponibile perché «in unica copia in mano alla sindaca», la possibilità di dare una sbirciata ma solo senza smartphone in tasca e ora l’atto coperto dal «segreto di Stato». La storia del documento chiave dello stadio della Roma, cioè il parere dell’Avvocatura capitolina che ha indotto Raggi alla virata verso il sì all’opera onde schivare le cause multimilionarie dei proponenti, ha un inizio comico e un’ultima puntata davvero inquietante. Perché l’ennesimo tentativo di esaminare l’atto da parte del consigliere FdI, Andrea De Priamo, è andato a scontrarsi contro un muro. Di gomma, verrebbe da dire. Anche se è esagerato rispolverare per lo stadio un’espressione che la memoria lega d’istinto ai tanti misteri italiani ancora senza soluzione. Scrive il difensore civico della Città metropolitana, Alessandro Licheri, il 27 aprile scorso in risposta all’ultimo ricorso del consigliere cui da mesi è negato l’accesso all’atto «omissato» dall’Avvocatura: «Siamo spiacenti doverle comunicare di non poter accogliere il suo ricorso per il quale il diritto di accesso è escluso per i documenti coperti da segreto di Stato, nonché nei casi di segreto o di divieto di divulgazione altrimenti previsti». Niente da fare, così, dice no anche l’ex provincia, ora in mano a Raggi: è segreto di Stadio.
L’iter su Tor di Valle va avanti tra accelerate mediatiche e frenate burocratiche, ma il documento che, a metà febbraio, convinse la sindaca a dare l’assenso politico all’opera non è accessibile ai consiglieri comunali in quanto segnato dal timbro «top secret». E’ scomparso, ammesso che esista. Forse la decisione di dire sì allo stadio è arrivata direttamente da Milano e non è stata ponderata in base all’analisi del rischio da parte degli Uffici del Campidoglio? Non è dato sapere. E questo nonostante una precisa legge sulla trasparenza che impone agli enti pubblici di rendere tracciabili tutti gli atti. E un’amministrazione, quella a Cinque Stelle, che della trasparenza ha fatto un ariete per riuscire a sfondare il portone del Campidoglio, evidentemente palazzo di cristallo solo prima e durante la corsa elettorale. Perché ora andare avanti non si può, nella lettera c’è pure un richiamo al «segreto professionale» che vincola al silenzio l’Avvocatura. De Priamo sta valutando con i legali l’ipotesi-esposto.
Del resto è l’ultima opzione rimasta nel carnet dopo un’Odissea iniziata ormai due mesi fa con una banale richiesta di accesso. Al quale l’Avvocatura rispose candidamente di no, perché il documento è «di natura estremamente riservata», «redatto in unico originale, protocollato ma non scansionato» e perché «consegnato a mani in busta chiusa direttamente alla sindaca». Si mobilitò la Commissione trasparenza e seguì un’altra lettera di De Priamo. E lì il vicesindaco Luca Bergamo si mostrò possibilista a concedere qualche minuto per la visione, ma a patto che De Priamo lasciasse lo smartphone. Ora l’atto è ufficialmente secretato.
Dice Virginia Raggi e lo conferma l’assessore all’Urbanistica, Luca Montuori: «La deadline per lo stadio è fissata per il 30 giugno». Ma la data del Comune non coincide con quella della Conferenza. Con queste fasi: a metà maggio l’approvazione di una memoria di giunta con i nuovi connotati del progetto «dimezzato», il 30 giugno la delibera pronta per la variante al Piano regolatore. L’iter dal Campidoglio, però, non coincide con quello della nuova Conferenza dei servizi che, chiudendo il tavolo con esito negativo lo scorso 5 aprile, ha fissato per il 15 giugno la sua nuova deadline. Che succede? Anche il nuovo iter è in bilico, rischia di ricominciare daccapo un’altra volta. I problemi stanno nella variante della discordia e nell’opportunità che offre la nuova legge sugli stadi contenuta nella manovrina uscita a fine aprile. Perché l’opera di Tor di Valle è incardinata nel vecchio procedimento che prevede la consegna di delibera e variante urbanistica al tavolo inter istituzionale con la Regione e gli altri enti interessati; mentre la nuova legge stabilisce che già il verbale conclusivo della Conferenza dei servizi «può costituire adozione di variante allo piano regolatore comunale».
Con la seconda via, insomma, il Campidoglio potrebbe evitare un pericoloso passaggio in Aula e limitarsi ad assorbire il sì della Conferenza. Pericoloso perché la quadra sui numeri non arriva: sul tema i M5S sono spaccati. Alcuni consiglieri di maggioranza, infatti, non hanno arretrato dalle posizioni «no variante» dell’ex assessore Paolo Berdini. Cioè: sì all’opera ma entro i 350 mila metri cubi di cemento del Prg. Dopo il «dimezzamento» seguito all’accordo politico tra Raggi e i proponenti, però, la cubatura complessiva del progetto è scesa «solo» a 598 mila metri cubi. Ergo servirebbe una variante di 250 mila metri cubi che molti grillini non sono disposti a votare in Aula. Con un iter costruito sulla nuova legge, il rischio di una crisi politica sarebbe così aggirato.