Sono passati ormai quasi 40 anni da quando Raiuno mandò in onda la prima puntata di una nuova sit-com americana. Le cui radici possono essere cercate in una serie tv precedente. Una che nel gergo televisivo è chiamata “antologica”. Una di quelle, cioè, in cui ogni puntata fa storia a sé. Spesso si tratta di episodi pilota di altre serie tv che nessuno ha comprato o deciso di sviluppare. Spesso gli stessi attori interpretano diversi personaggi in diversi episodi. A noi può sembrare strano, ma negli USA funziona così. Infatti si chiama proprio Love, american style. Si tratta di 108 episodi prodotti tra il 1969 e il 1974 e che si videro anche da noi, prima su Raiuno poi su alcuni circuiti privati.
Uno in particolare, però, ha una storia particolare. Per la precisione il numero 22 della terza stagione. Lo produce la Paramount Television, che gira un episodio pilota ma non ne è convinta. Quindi ricicla tutto in una puntata di Love, american style. Ma nel 1973 esce una pellicola di grande successo come American graffiti. Così la casa di produzione torna a credere nel telefilm. Perché la trama non racconta il periodo contemporaneo. Ma lo stesso del film di George Lucas. Lo produce, e il debutto avviene il 15 gennaio 1974 sulla ABC.
Ci sono alcune incongruenze temporali ma è plausibile pensare che l’ambientazione avvenga tra il 1954 e il 1965. La guerra in Corea è finita, quella del Vietnam deve ancora cominciare, e gli USA stanno vivendo un periodo di benessere che contribuirà in maniera molto importante alla definizione precisa di “american dream”. Un periodo a cui l’America degli anni ’70 guardava con occhi nostalgici. Il telefilm non deriva però, come abbiamo visto (e come erroneamente creduto da più parti), da American graffiti. Nonostante anche George Lucas tratti la mitizzazione di quel periodo, quello a cavallo tra gli anni ’50 e ’60, e lo faccia attraverso l’aria da bravo ragazzo di Ron Howard. Comunque, l’8 dicembre 1977, anche l’Italia fa la conoscenza di Happy days.
Diventa abbastanza facile rendersi conto di come un telefilm di quel valore possa aver influenzato anche la cultura di massa. Tanto è stato il seguito che gli ha tributato il pubblico. Addirittura alcune battute dei protagonisti sono diventati veri e propri modi di dire nella comunità statunitense. Uno in particolare può legarsi benissimo a questo Milan-Roma. E’ Fonzie, mentre è con gli amici a un concerto, a pronunciare una frase che diventerà il primo uso documentato di un’espressione che fa ormai parte del linguaggio americano: “I’m getting a nosbleed up here”. I posti sono praticamente nelle ultime file, tanto in alto che per poco non gli sanguina il naso.
I nosebleed seats sono quelli che noi, con la delicatezza etimologica che da sempre ci contraddistingue, chiamiamo “piccionaia”. Quelli più lontano possibile da dove si sta svolgendo l’evento. Cioè quelli dove ultimamente i tifosi della Roma, e delle altre squadre, vengono posizionati a San Siro. Però da lì vedono 4 gol e una prestazione convincente, seppur contro un avversario notevolmente ridimensionato nelle ultime partite. Verrebbe da chiedersi di nuovo il perché di un derby come quello della settimana scorsa, ma diventa superfluo.
Gli Hilltop Hoods invece, nella loro The nosebleed section, intendono la stessa come la prima fila. Quella in cui gli spettatori tengono la testa come se stesse loro sanguinando il naso. Ma sono australiani, si sa che ogni cosa va in maniera opposta rispetto agli americani. Come il senso dell’acqua del water nella puntata Bart contro l’Australia de I Simpson. In fisica si chiama Forza di Coriolis, ma in realtà non c’è nessuna riprova scientifica che il senso in cui defluisce l’acqua negli scarichi dipenda dall’emisfero in cui gli stessi si trovano.
Detto questo, un altro episodio numero 22 cambiò in piccola parte la storia della tv e del cinema. Quello della quinta stagione di Happy Days. In cui appare, in uno strano costume bianco e rosso, un giovane attore uscito dalla Juilliard School di New York e tornato in seguito in California (dove si era trasferito con la famiglia da Chicago) per intraprendere la carriera teatrale. Aveva già preso parte ad alcuni episodi di altre serie tv, tra cui La famiglia Bradford, ma è qui che arriva la prima ondata di popolarità di una carriera che sarà a dir poco straordinaria. Tanto che Robin Williams ripeterà il famoso “Ciao, sono Mork e vengo da Ork” nelle 94 puntate del telefilm Mork e Mindy, quello che costruiranno addosso a lui e all’alieno che, in quell’episodio, sfida Fonzie in una serie di prove di abilità.
Happy days lanciò anche altre terminologie, principalmente televisive. Principalmente due. La prima è la “sindrome di Chuck Cunningham”. Vi starete chiedendo chi è e io capisco il vostro stupore. In realtà i Cunningham avevano tre figli: Richie, Joanie e Chuck. Che era il più grande, e viveva già da solo. Apparirà nella prima stagione e nella prima puntata della seconda, per poi sparire come se non fosse mai esistito. Senza spiegazioni e senza che nessuno lo nominasse più. Molte serie tv, in futuro, si sentiranno autorizzate ad utilizzare questa tecnica.
La seconda, invece, è “saltare lo squalo”. Nella quinta stagione, Fonzie si trova a dover saltare il feroce predatore con gli sci d’acqua per superare una prova di coraggio (il povero Fonzie lo dovevano sempre mettere nella condizione di dover dimostrare qualcosa a qualcuno). La scena è girata male e montata peggio. Risultando estremamente distante dalla realtà e di conseguenza dal pubblico. “Jumping the shark”, da lì in poi, indicherà il momento in cui una serie tv comincia a perdere popolarità.
Se avverrà effettivamente l’addio di Francesco Totti, difficilmente nessuno lo nominerà più. Ma quello che non dobbiamo fare è proprio saltare lo squalo, creare una distanza tra tifoso e squadra, tra allenatore e giocatore, tra storia e campione. C’è la Roma, che non può e non deve perdere la nostra passione. Pur riconoscendo grandezza o importanza di ogni singola parte che la compone. Considerazione a margine: ovviamente tutto fa pensare che non lo farà più purtroppo con la nostra maglia, ma siete tutti così certi che Francesco Totti smetterà di giocare?