Il Celtic degli anni ’50. Piuttosto antecedente e piuttosto lontano dal concetto di Lisbon Lions. Ovvero la squadra che nel 1967 battè l’Inter in finale di Coppa dei Campioni all’Estadio Nacional di Lisbona. Tutti scozzesi, e tutti nati nel raggio di 30 miglia da Glasgow. Piuttosto antecedente per motivi fin troppo evidenti, piuttosto lontano perché tra le proprie fila trova spazio un attaccante giamaicano, che diventerà il primo calciatore di colore a giocare nel Celtic. Si chiama Gil Heron, ed è soprannominato The Black Arrow.
Gioca poche partite senza lasciare grosse tracce, cosa che invece aveva fatto negli anni precedenti con la maglia dei Detroit Corinthians e dei Detroit Wolverine, con all’attivo anche un titolo di capocannoniere. A Detroit aveva lasciato traccia e non solo in campo. Perché lì conosce la cantante lirica Bobbie Scott, all’epoca parte del New York Oratorio Society. La coppia nel 1949 ha un figlio, che come il padre si chiama Gil.
Nonostante le apparenze create dall’essere figlio di un calciatore e di una cantante, l’infanzia non è facilissima. Perché il padre appunto si trasferisce in Scozia, sancendo una veloce separazione con la madre, e lui finisce a vivere nel Tennessee. L’America del Sud degli anni ’60 non è l’ambiente ideale per un ragazzo di colore. Infatti sarà il ritorno dalla madre, che nel frattempo si è stabilita a New York, a fargli capire cosa può diventare. Ottiene una borsa di studio alla Fieldston School e comincia a comporre testi narrativi.
Ma se non fosse stato per l’incontro con Bob Thiele, produttore della Flying Dutchman Records, che lo convince del fatto che le sue parole farebbero molta più presa se messe in musica, forse non avremmo mai sentito parlare di Gil Scott-Heron. Invece fortunatamente è andata così, e se ne abbiamo sentito parlare è stato probabilmente per quello che è il suo più grande successo. Si chiama The revolution will not be televised, ed esce nel 1970. Un brano di protesta contro l’invasione televisiva. Nel testo ci sono citazioni di Richard Nixon, John Mitchell, Steve McQueen, Tom Jones, Johnny Cash. Vari slogan di spot pubblicitari e riferimenti ai palinsesti della CBS e della NBC.
Tutto inutile, negli anni le cose sono andate piuttosto diversamente. Tanto che addirittura il calciomercato will be televised, per esempio. Le trasmissioni a tema sono in continuo aumento e seguitissime, nonché (quantomeno le migliori) pluripremiate in quanto a consensi ed ascolti. Persino il grande colpo del nostro mercato passa dalle interviste tv a Massimo Ferrero prima e dopo l’incontro che porta Patrik Schick alla Roma.
Anche le logiche strettamente televisive sono in continua evoluzione. E’ dal 2007 che l’appuntamento estivo per eccellenza, ovvero il Festivalbar, non viene mandato in onda. Ma quest’anno sono riusciti a tenere gli spettatori davanti alla tv in tempo che non è propriamente da produzione originale grazie a un qualcosa chiamato Temptation Island. Accettiamo, senza capire troppo il motivo. Non è l’unica rivoluzione di questa calda estate.
Perché calcio e tv si uniscono anche con l’entrata in vigore del VAR, il video referee assistant. Sembrava la soluzione a tutti i grandi errori del calcio (e personalmente credo che se usata ai limiti della perfezione lo sia ancora) ma è bastato che annullassero un gol al Milan in un’amichevole contro il Betis per rimettere in discussione tutto. Nelle prime due giornate arrivano due rigori contro la Juventus, che se non è una rivoluzione poco ci manca, ma anche due episodi contro l’Inter che will not be televised. Il secondo, in particolare, ci riguarda molto da vicino.
Quindi no, “the revolution will not be televised”, come cantava Gil Scott-Heron. Non ancora, almeno. Il regolamento a tal proposito è cortissimo e quindi anche molto chiaro. Non c’è un motivo per cui non sia stato assegnato il rigore alla Roma per il contatto tra Perotti e Skriniar. Non lo andiamo a sottolineare perché ci riguarda, ma perché sul serio il Var può risolvere tante cose. Con uniformità, però. Quello, unito ai tre pali colpiti, aumenta il rammarico per una sconfitta dai contorni immeritati. C’è un però. Perché se sei in vantaggio e colpisci tre pali vuol dire che sei in controllo della partita. Di conseguenza perdere 1-3 può considerarsi logico?