Sulla paternità del dato la discussione è aperta: merito di chi i calciatori li aveva portati, ovvero Sabatini, o di chi ha prodotto il numero record, dunque Monchi? Perché tant’è, quel 95,2, ovvero i milioni di plusvalenza registrati nel bilancio al 30 giugno approvato ieri dal CdA della Roma. Mai nella storia del club s’era registrato un numero così alto (nel 2016 furono 77,5 milioni), figlio per gran parte delle cessioni di Salah, Paredes e Rudiger. Non è un record che fa esultare, certo. È l’ennesimo segnale di una società sempre più aggrappata alla Champions League – non a caso il dato record sia arrivato nell’anno dell’assenza dei proventi della manifestazione – e al trading dei calciatori.
SOS – E suona come un allarme il fatto che neppure una sessione da primato in uscita abbia evitato alla Roma un rosso di 42 milioni, 28 in più rispetto al 2016. In fondo, è la stessa Roma a scrivere che il bilancio «continuerà a dipendere in gran parte dalle performance della squadra, dalle operazioni di trasferimento dei calciatori e dai ricavi derivanti da attività commerciali e di sponsorizzazione». Eccola qui, la postilla sul main sponsor: Pallotta è ancora fiducioso nel riuscire a ottenere i 12 milioni a stagione che continua a chiedere ai potenziali partner. Ma è molto più semplice ricorrere alle cessioni, in fondo. Specie se hai un allenatore che valorizza la rosa, al punto di certificare che «il valore di mercato complessivo dei calciatori è ampiamente superiore a quello contabile e rappresenta una solida base di sicurezza per la continuità aziendale». Senza Tor di Valle, così è e così sarà.