Estate 2003. Agosto. Per i romani è un classico, per chi abita più a nord un po’ meno. Ma la fama di Ponza arriva anche da noi. Per quanto non a tutti. Più di una persona, interessandosi a dove avrei fatto le vacanze, mi chiedeva se a Monza c’era il mare. Io facevo sorrisi di circostanza, e ripetevo scandendo la “p” iniziale. Ma questo porta a due considerazioni: il non avere idea dell’esistenza di quest’isola con uno dei mari più belli d’Italia, e l’avere il grosso dubbio di dove porre geograficamente la città che ospita il Gran Premio d’Italia di Formula 1. Ma non tocca a noi misurare il livello culturale medio.
A propormi di andare a Ponza in villeggiatura fu l’amico e collega Alberto, lo stesso delle vacanze a Livigno, il primo a darmi fiducia in radio quando ancora ero giovanissimo. Lui ci andava regolarmente da anni. Padre radiofonico ma per l’occasione zio fittizio, per giustificare gli 11 anni di differenza. Nonché fratello fittizio di mia mamma per giustificare i cognomi diversi. Perché la gente anche in vacanza su certe cose non si perde. Con noi c’era anche Cecco, detto Cesso, amico inseparabile di Alberto e parte integrante della formazione. Nonostante questo fu costretto a farsi il viaggio di andata da solo, non era riuscito ad anticipare di un giorno l’inizio delle ferie lavorative e la volontà di Alberto di partire comodamente il giovedì notte non sentiva ragioni. Per me non cambiava niente perché ero privo di impegni in quanto appena diplomato, appena entrato “in quella fase prima del lavoro, flessibile, saltuario, interinale, telefonico, mancante, manuale”, come cantava Jovanotti nella sua File not found.
Era l’estate del caldo record, delle fideiussioni false in cui cadde anche la Roma e di Get busy di Sean Paul. Ma incuranti di tutto questo, alla spiaggia del Frontone, ogni giorno al tramonto si faceva festa. Il protagonista era un certo Pierpaolo: un tizio in bandana, occhiali da sole, pantapareo e maglietta arancione con scritto “Sto da Dio”. Prendeva possesso regolarmente della posizione più centrale possibile, e agitava la folla dimenandosi a ritmo di musica. Era facile incontrare anche ex calciatori, per quanto più legati al biancoceleste. Come era facile incontrare, la sera, semisconosciute presentatrici tv dal futuro calcisticamente importantissimo (anch’esse legate al biancoceleste prima e al bianconero poi) e famosissime attrici prossime a entrare nel club delle Bond Girl.
“Ponza, Ponza, l’isola che non t’abbronza, ma te sbianca per i prezzi che c’ha”, cantavano Simone Cristicchi e Pier Cortese nella loro Ponza. Che diventò un inno da quelle parti nell’estate seguente, quando i due ancora non erano protagonisti del panorama musicale nazionale. Ma suonavano nei piano-bar della zona del porto, vero e proprio punto d’incontro per cena e dopocena. Le leggende sui prezzi di Ponza sono risapute, non a caso abbiamo fatto un discreto zig zag tra affittuari di fiducia, cambiando tre abitazioni in 12 giorni. Trattando prezzi in cambio di benzina per le barche a motore che noleggiavamo, nascondendo il fatto che Fabio (un altro amico che ci era venuto a trovare per qualche giorno) dormisse da noi per non far alzare il prezzo del soggiorno, discutendo sull’eventualità di condividere spazi con altri ospiti sconosciuti causa incongruenze sulle prenotazioni.
L’ultima delle nostre tre dimore l’abbiamo abbandonata come se fossimo dei delinquenti di professione. In piena notte, lasciando la porta spalancata e la chiave dentro alla toppa. “La chiave dentro alla toppa? E chi ce l’ha ficcata?” diceva Diego Abatantuono in Viuuulentemente mia. Ce l’abbiamo ficcata noi quando abbiamo deciso, all’ultimo momento, di prendere il traghetto Caremar delle 5:00. A chi la puoi riconsegnare a quell’ora? Lasciamola dove è più naturale che sia, e dove è più naturale che qualcuno la cerchi. Le decisioni istintive difficilmente sono quelle più corrette, ma volevamo essere a Formia la mattina prestissimo, con un po’ di anticipo su tutto il programma. Ritenendo ormai concluso il nostro soggiorno pontino.
Guardammo l’alba in quello spicchio di mare e una volta arrivati in stazione, prendemmo il classico treno “che ferma dovunque”, direzione Roma Termini. Da cui poi avremmo raggiunto Bologna e continuato il ritorno verso casa. Fondi-Sperlonga, Monte San Biagio, Priverno Fossanova, Sezze Romano, Latina, Cisterna di Latina, Campoleone. D’altronde avevamo un biglietto normalissimo. Anche per Bologna. Ma una volta giunti a Roma, ci rendemmo conto che stava per partire un Eurostar proprio per il capoluogo emiliano. Breve consulto. Breve e inutile, perchè ormai tutti avevamo deciso cosa fare. Saliamo. Cercando di sederci in posizioni opposte, in modo da avere la visuale di entrambe le porte del vagone e controllare per quanto possibile la situazione.
Il primo in ordine di apparizione era Cecco, seduto in direzione della porta da cui siamo entrati. Poi toccò ad Alberto sedersi, che trovò un posto che univa vista sulla porta opposta e possibilità di stare vicino a una ragazza. A quel punto io ero libero di scegliere la posizione che più mi andava: posto che guardava la stessa porta di Alberto, seduto di fianco a tale Caterina, mia coetanea che abitava appena fuori Bologna e tornava da non ricordo dove. Ogni apertura di porta era un susseguirsi di sguardi che si cercavano ed espressioni di assenso. Io avevo già avvisato Caterina di non preoccuparsi se avessi dovuto interrompere la nostra conversazione alzandomi senza preavviso. E che avevo l’aria così sbattuta perché avevo dormito all’aperto sul ponte di un traghetto.
A un certo punto, sento il fatidico rumore alle mie spalle. Alberto mi chiama, era appena entrato un controllore. Chiama me perché Cecco ormai era spacciato, era seduto troppo vicino all’autorità ferroviaria per poter tentare ogni tipo di fuga. “Non pensate a me, salvatevi voi”, ci disse cinematograficamente con gli occhi colui che non aveva tenuto conto della distanza. Grazie della gentilezza, ma non ce ne preoccupammo più di tanto. Alberto con la mano mi fa il classico cenno di andare. Ci alziamo e ci dirigiamo dalla parte opposta. Ma in quel momento anche l’altra porta si apre. E anche da lì, entra un controllore. Niente, ci risediamo, in attesa del giudizio.
Ci viene spiegato, in maniera molto gentile, che i biglietti in nostro possesso non sono relativi al tipo di corsa di cui stavamo usufruendo. Noi ci scusiamo, dichiarando di non esserci purtroppo accorti di questo tipo di limitazione. Ma è un teatrino in cui entrambe le parti fingono sapendo di fingere. E sapendo che anche l’altra parte sta fingendo. Noi non potevamo pensare di prendere un Eurostar allo stesso prezzo di un regionale, e loro vorrebbero buttarci giù alla prima stazione che troviamo. Anche con il treno in corsa, probabilmente. Perché è un Eurostar, non è che proprio fa soste ogni 10 minuti. Quindi ci fanno pagare un “sovrapprezzo”, un termine addolcito per il semplice fatto che non è bello dare (né tantomeno ricevere) multe quando è quasi Ferragosto e il sole splende fuori dai finestrini.
Ma se all’andata, per raggiungere Formia, hai preso il Milano-Salerno notturno, che è notturno ben al di là delle peggiori aspettative e che evidentemente non ti ha insegnato niente pur facendoti vedere gente senza biglietto che viaggiava nascosta tra le valigie sopra la tua testa o sotto il sedile su cui stavi, un provvedimento punitivo da pagare seduta stante in contanti non può certo farti paura. Allo stesso modo, non può farti paura questo Bologna che è una buona squadra ma per ora niente di più.
Ogni volta che Roma e Bologna si incontrano, a me torna in mente quell’Eurostar di una mattina di metà agosto. Quello che invece non ricordo (ma magari qualcuno di voi mi potrà aiutare), quantomeno stando alla storia moderna, sono tre vittorie filate per 1-0. Detto questo, forse anche Caterina sarà convinta che questa serie di infortuni vada al di là di ogni traiettoria statistica. Giocatori dello stesso ruolo che subiscono lo stesso infortunio ma in modalità ogni volta diverse. E non è che a livello muscolare le cose vadano meglio. Certo, se andiamo a recuperare la cronologia di tutti gli episodi, la componente casuale risale prepotentemente.
E’ giusto ricordare però che un ventello fa la porzione destra di quella zona di campo era assoluta e insindacabile competenza di Marcos Evangelista De Moraes, detto Cafu. Soprannominato Pendolino, tanto per restare sul tema ferroviario. Che giocava in un calcio dai ritmi più leggeri e in cui si facevano i ritiri in montagna. Assoluta e insindacabile perché lui fisicamente e tecnicamente era spanne sopra agli altri, ma anche perché non ha mai avuto grossi infortuni. Se non sul finale di carriera, conclusa comunque a 38 anni. Troppo poco per la soluzione, ma possiamo comunque considerarlo un indizio?