Pallotta in marcia fra voci e smentite. Cinesi in arrivo. Banche inglesi da convincere. Stadi che come nei cartoni animati, o come negli incubi, si avvicinano e si allontanano lasciando sempre lo stesso dubbio (sarà vero?). E infine bisogno di rendere sempre più appetibile il brand Roma. Il presidente giallorosso avrebbe dato mandato di sondare la disponibilità di potenziali partner societari: secondo Bloomberg l’obiettivo sarebbe la cessione del 40% del pacchetto azionario della Roma (con Pallotta al 38%), più o meno a un’entrata secca di 75 milioni di euro. È’ previsto un aumento di capitale della holding che gestirà la realizzazione dello stadio. Con quali soldi? Nella sua smentita Pallotta conferma dunque i movimenti: «Non vendo quote, cerco soci per lo stadio, anche all’esterno dell’attuale proprietà». Jim guarda in più direzioni. C’è da costituire un pool di finanziatori per la costruzione dello stadio: «Aspettiamo il via libera entro 180 giorni». Diciamo fine marzo. La Roma ha fretta. Dopo aver accertato la disponibilità dei più stretti amici americani della sua Raptor Capital Management, è in previsione un viaggio a Londra per sondare tre diverse banche. Il presidente ha già incontrato a Milano i vertici di Enel, Telecom, Generali, Eni e Acea. Ovviamente non potevano mancare gli onnipresenti interlocutori asiatici, come anticipato da Repubblica ieri. Si tratterebbe di immobiliaristi cinesi sensibili all’idea dell’entertainment complex destinato a completare il progetto del nuovo stadio della Roma. Diverrebbero, una volta convinti, i terzi finanziatori cinesi del calcio italiano. Lo shock dell’eliminazione dalla Champions è stato emotivo e finanziario: ha prodotto un buco fra i 30 e i 40 milioni di euro. Forse è stato proprio il Porto ad accendere la miccia, a moltiplicare gli appuntamenti. Di fatto, il grande progetto commerciale su cui Pallotta aveva costruito la propria identità di tycoon italiano non è mai decollato (nessuna delle iniziative “americane” della Roma ha portato soldi nelle casse di Trigoria e per fornire il suo abbigliamento tecnico la Nike paga alla Roma meno di quanto pagasse l’ormai lontanissima Kappa).
Mentre si cercano partner per accelerare la costruzione dello stadio, non potrà certo sfuggire che uno stadio già in costruzione potrebbe avvicinare partner ancora più facoltosi. Un incastro dal quale la Roma, e Pallotta in prima persona, dovranno presto districarsi. Al lavoro anche l’ex dg Baldini, tornato come consulente personale del presidente con un contratto di tre anni. Baldini starebbe lavorando sul doppio binario in cerca di aziende interessate a fare “business” con la Roma. Perché se è vero che un giorno alla Roma servirà uno sponsor per dare, possibilmente anche prima che sia finito, un nome allo stadio (“Emirates” si chiamerà lo stadio dell’Arsenal sino al 2019), il club ha anche esigenze più immediate: trovare un “jersey sponsor”. Da tre anni la Roma non ha scritte sulla maglia (a parte “Roma Cares”). Quindi un contratto in meno. Con ricavi mancanti intorno ai 50 milioni (imparagonabili i soldi che Qatar, Deutsche Telekom e Chevrolet riconoscono a Barcellona, Bayern e Manchester United). Uno dei nomi filtrati è quello del colosso coreano Samsung (fino al 2014 sulle maglie del Chelesa). Pallotta infine sta pensando anche a Totti. Ieri dopo aver fatto un salto da Feltrinelli ha chiesto a Jill Smoller, la manager di Serena Williams, a Milano per Djokovic & Friends, se fosse interessata a gestire e vendere il brand di Totti negli Stati Uniti. «Roma is moving along», dice Pallotta.