Ricompattati dall’odio per la dirigenza e dal rancore contro una squadra che, oramai da sette giornate, colleziona insuccessi. La Curva Sud cambia volto, si riorganizza, perché gli ultras giallorossi, adesso, sono accomunati da una strategia comune: farla pagare a chi li sta deludendo e vuole telecamere e controlli sugli spalti. I manifesti funebri, dedicati a James Pallotta e affissi sui muri di Roma, lo dimostrano. Sullo sfondo, le inchieste giudiziarie e l’allarme della commissione parlamentare Antimafia che aleggia sull’Olimpico come sugli altri stadi italiani: «La forza di intimidazione degli ultras, all’interno del “territorio-stadio” – si leggeva nella relazione conclusiva “Mafia e manifestazioni sportive” dello scorso dicembre – spesso esercitata con modalità che riproducono il metodo mafioso e la condizione di apparente extra-territorialità delle curve rispetto alle autorità, ha consentito ai gruppi di acquisire e rafforzare il proprio potere nei confronti delle società sportive».
LA CURVA – Oggi in curva Sud un capo vero non c’è. Ma se gli ultras romanisti erano sull’orlo del collasso, adesso sembra proprio stiano ritrovando l’unità. Le tante sigle erano fondamentalmente riconducibili a due schieramenti rivali. La rottura, dopo mesi di tensioni, cori diversi e scontri, si era consumata, la scorsa primavera, durante l’ultimo derby, quando il “Gruppo Roma” (ex «Padroni di casa»), il più influente, vicino a CasaPound e collocato nella parte bassa del settore, aveva proclamato lo sciopero delle tifoserie contro le barriere sugli spalti, poi rimosse. A rompere il patto erano i Fedayn, gruppo storico (ci sono dal ‘72) ma meno numeroso, tanto da essere confinati nella balconata. Violando l’accordo, avevano cominciato a cantare, trascinando il resto della curva e la maggioranza silenziosa dei tifosi. Dopo mesi di tensioni e regolamenti di conti in trasferta, era stato il punto di non ritorno. Tutti contro tutti, ma oggi quello scenario sembra far parte già del passato.
IL GRUPPO ROMA – A raccontare cosa sia il Gruppo Roma sono il “Manifesto”, recuperato dalla procura dopo l’aggressione, a ottobre 2016, dei tifosi svedesi e le intercettazioni che hanno incastrato 13 ultras, che rischiano il processo per lesioni. «Ne ho sbragati due, bellissimo», si legge nella chat che conta 116 partecipanti. E poi le raccomandazioni a non pubblicare sui social le foto delle trasferte «che non sono scampagnate de Pasquetta». Poi il monito: «Oggi eravamo 300, domani saremo 500, orgogliosi di quello che abbiamo costruito». Sullo sfondo la politicizzazione delle curve, con estremisti di destra conosciuti alle forze dell’ordine (il 30 degli ultras per la commissione Antimafia è costituito da pregiudicati) che inneggiano alla violenza.
IL TIMORE – A ottobre, quando gli adesivi che ritraevano Anna Frank in maglia giallorossa, sono stati trovati in curva sud, la solidarietà ai biancocelesti, autori del gesto razzista, è arrivata anche da Giuliano Castellino, leader di “Roma ai romani” e storico tifoso giallorosso: «A testimonianza del fatto – scrive ancora la commissione Antimafia – che la contrapposizione fra le tifoserie è più apparente che reale, e trova momenti di significativa unità e condivisione su temi come la violenza e il razzismo. Insorge il dubbio che tra tifoserie della Roma e della Lazio esista allo stato una sorta di armistizio-collaborativo. In apparenza si rileva un clima di contrasto e di scherno, laddove, invece, tra le frange degli ultras esistono rapporti che si concretizzano in manifestazioni di contestazione alle istituzioni e alle forze di polizia».