È morto a 88 anni il presidente “gentiluomo”, elegantissimo con quei nodi di cravatta che sembravano tramezzini e con quella sua erre moscia. Gaetano Anzaloneè stato un pezzo di storia della Roma, quella degli anni Settanta. Una Roma in cerca di qualcosa che non sapeva neppure lei cosa. Rappresentava la “Rometta” sulla quale sbavavano un po’ tutti e che però tutti, alla fine, lasciavano languire nella mediocrità e sguazzare fra i sogni, troppo occupati dai loro intrighi di palazzo e troppo poco inclini a porsi il problema di Rocca e Peccenini. Generoso e vulnerabile, si caricò sulle spalle la complessa eredità di Alvaro Marchini, che nel suo breve regno provò a strizzare l’occhio tanto alla Dc quanto al Pci. Lui no. Lui aveva un colore solo. Preferiva riagganciarsi ad Evangelisti e cercare una sponda con Andreotti. Amava il calcio ma amava anche le corti, il bordocampo, la vita intorno. A suo modo un precursore delle vanità moderne. I suoi interessi sportivi rispettavano le leggi non scritte dell’epoca: possedevano uno sfondo politico. Alle spalle del suo mandato s’intravedeva il partito trasversale dei romanisti di Montecitorio e dei palazzinari entusiasti.
Era nato in un mucchio di casette sospese fra il Sacco e l’Aniene, a Roiate, sognava in grande ma non sapeva come dimostrarlo, neppure a se stesso, forse perché le casse erano sempre, maledettamente vuote. Ingaggiò Liedholm, acquistò i terreni di Trigoria, il cui centro sarebbe stato inaugurato nel suo ultimo anno di gestione, dal Tre Fontanespuntarono Di Bartolomei e Conti, svendette alla Juventus Capello, Spinosi e Landini, che dei tre per un momento parve il più talentuoso, creò il brand del “lupetto” e accese in città i primi Roma Shop, anche qui anticipatore. Dei tanti acquisti il più simbolico fu Prati: il “breve incontro” di Pierino con la Roma ha lasciato forti strascichi emotivi. Il terzo posto del ’75 venne salutato come un capolavoro. E lo era. Peccato che la sua luce venisse attenuata dal contemporaneo scudetto della Lazio. Anzalone non fu neppure fortunato: quando “incassò” il patrimonio Pruzzo rischiò addirittura la B. Lasciò a Viola, l’uomo che sussurrava ai microfoni e che sapeva come mettere all’angolo Boniperti. Lui non ce l’avrebbe fatta.