Quando parlate della Roma dovete stare zitti. Non so se l’ho sentito da ragazzino allo stadio, se – infinitamente peggio– l’ho letto su ‘ste cose di facebook o se forse l’ho scritto io per la prima volta adesso, però è esattamente così, è perfettamente così: “quando parlate della Roma dovete sta’ zitti”.
Figurarsi quando si scrive della Roma quanto dovrebbe essere assordante il rumore del silenzio! Qualcosa di simile al primo striscione della nostra storia scritto il 14 giugno 1942 allo Stadio Nazionale dai cugini Lalli perché erano sordomuti e – letteralmente – non sapevano come e quanto esprimere quello che avevano dentro. Avevano la Roma dentro e la Roma non è facile a dirsi, anzi: la Roma non si deve dire.
Non possiamo, non vogliamo, non dobbiamo sentirci rappresentanti di qualcosa che qualcuno – chiunque la ami – avverte come un sentimento esclusivo, come una cosa tutta e solo sua, come una poesia. E’ un coro allo stadio e va rispettato: “Nessun mai t’amerà più di me”. E lo canta ciascuno. E lo cantano tutti. E’ uno splendido, splendido cortocircuito logico camuffato da mistero la Roma. Insieme la cosa più intima e la cosa più pubblica, anzi di più: una cosa così intima proprio perché è pubblica o, viceversa, qualcosa che è di tutti proprio perché è esclusivamente mia, tua, nostra. Per me la migliore ideologia possibile: quella che non permette di essere felice se non lo sono anche gli altri.
Questo giornale a vocazione suicida che esce in tempi di crisi dove forse le generazioni 3.0 non sanno nemmeno che possano esistere quotidiani cartacei, in una città romanista vivisezionata da più correnti, faide e fazioni della peggiore/migliore (fate voi) Dc della prima repubblica, dove va di moda fare l’alternativo, selfare la ribellione e andare contro (contro chi?) per poterlo postare (c’è la fila alla Standa dei ribelli, se ne trovasse uno disposto a chiedersi per lo meno: perché no?), stamperà 32 pagine ogni giorno cercando di non dire nulla, ma niente niente di quel sentimento che ci batte dentro: perché è l’unico modo per cercare di raccontarlo.
E’ un altro cortocircuito, un piccolo doppio scandalo; la Roma non è la cosa più importante fra le cose futili, la Roma non è nemmeno una cosa, la Roma è un sentimento. La linea editoriale de il Romanista sarà quel sentimento. Nessuna ricerca di scoop a ogni costo, zero tette, culi, click baiting (possibilmente cercherò di avvicinarlo il più possibile a qualcosa che possa risultare vecchio anche ai ragazzini degli Anni 80, prima che l’editore mi cacci) ma tutto per rispettare il più possibile il lettore (a cominciare dal prezzo, ricordando – bisogna farlo perché la fila alla Standa per la rivoluzione è lunga– che non prendiamo contributi per l’editoria); niente regola delle 5 W, semmai solo quella del W il 5. Che sarà sempre e solo Falcao.
“Quando parlate della Roma dovete stare zitti”. Io non rappresento nessuno, io però, questo sì, questo sempre, sarò sempre innamorato di quel magico magico mondo romanista scoperto con gli occhi da ragazzino, di una curva che – a un certo punto – è stato il più grande esempio di consorzio umano mai riuscito, di quella maglia color amore e di quello sfondo rosso tra persone che cantavano, di quell’odore di fumogeni e sole la domenica mattina quando giocava la Roma. Non mi permetto di rappresentare nemmeno mezzo romanista, ma ogni volta che spizzerò lo stadio quando ci entrerò, ogni volta che spizzerò il primo polsino di quella maglietta rossa che uscirà dal tunnel mi emozionerò come ogni ragazzino, uomo, donna romanista fa. Come il Romanista deve fare. Perché il sentimento lo avverto addirittura come un dovere e persino come deontologica la necessità di trasmettere i valori della Roma.
In tempi di divisioni e di barriere (ah che bello tornare a scriverlo in prima pagina che saremo sempre contro ogni barriera e contro ogni tessera della Pubblica Ottusità) il sentimento è una rivoluzione. E’ l’unica cosa che ti dà il permesso di provare a raccontarla la Roma.
Quel sentimento, tutto quello che ho visto il 28 maggio. Come fate ancora a tirare fuori la storia degli 11 uomini che corrono dietro a un pallone? Magari ci corressero ancora tanti uomini di potere dietro a un pallone.
Quel giorno ho visto l’uomo più pubblico del mondo vivere il suo momento più intimo. E ho visto il momento più intimo inquadrato da tutte le telecamere del mondo. Sempre quel paradosso. Ho visto la Roma. Ma non solo in Francesco, piuttosto in tutta quella giornata, nel vicino accanto in quella esagerata smisurata preghiera singola e collettiva di gente imbevuta-impregnata di Roma. Non credo fossimo commossi solo perché Totti diceva addio al calcio ma perché ci stavamo tutti dicendo che cos’è la Roma senza dire nemmeno una parola. Sssshh. “Facile pe’ voi”…
Quel giorno ho capito ancora meglio che raccontare la Roma è un privilegio e un onore, quel giorno mi sono vergognato di meno di fare il mio mestiere.
In quel momento è rinata la voglia di rifare qualcosa come il Romanista. Lo faccio per tutti i dieci anni passati in redazione a cercare di mantenere in edicola l’unico quotidiano al mondo dedicato a una squadra di calcio, non solo per l’orgoglio da tifoso o per il narcisismo giornalistico (Calciopoli, i servizi di France Football, l’essere nella rassegna stampa di Al Jazeera) ma perché grazie a il Romanista si è comperata un’ambulanza in città intitolata a Luisa Petrucci, si è contribuito a costruire una palestra nel carcere femminile di Rebibbia, si è raccontato l’assassinio di Gabbo e portato papà Giorgio in Curva Sud… Per le 26 mensilità mai prese alla faccia di chi straparla senza sapere niente (sono sempre quelli indaffarati a sgomitare all’Upim) del “ce magnate con la Roma” (un’altra cattiveria è quella che questo sia il giornale della Roma: dedicarci pure questa parentesi è già un errore, ma detto che essere accostato alla Roma non potrà mai essere un disonore, il resto è solo e semplicemente una mostruosa cazzata). Lo faccio per mettere il sentimento non in primo o in primissimo piano, ma in copertina. CON QUESTO AMORE QUI. Con questo amore qui racconteremo la Roma. Con questo amore qui criticheremo la Roma. Con questo amore qui difenderemo la Roma. Con questo amore qui ci arrabbieremo con la Roma. Con questo amore qui ameremo la Roma. E nella vita non credo si possa più che amare.