La vera storia di Luca Parnasi è la trama di un western all’italiana. Il titolo che si avvicina di più è “Un genio, due compari, un pollo” di Damiano Damiani con Terence Hill. Il genio non ha ancora un nome ma è quello che riuscirà a indirizzare la cessione del terreno di Tor di Valle, destinato al nuovo stadio della Roma. I compari sono ben più di due, come si vedrà. Il volatile da cortile, ahilui, è proprio l’erede del fu Sandro Parnasi. Aveva pensato di essere il genio. Dal 13 giugno è in carcere per un’inchiesta della Procura di Roma, con i media che gli danno responsabilità ampiamente superiori al suo effettivo peso nel saloon della politica romana e nazionale.
Eppure ci aveva creduto davvero. A dispetto di avversari potenti e con l’aiuto degli amici sognava di portarsi a casa una plusvalenza da quasi 160 milioni con la cessione dell’ex ippodromo alla Dea Capital Re sgr (De Agostini). Pensava di avere fatto il necessario per raggiungere l’obiettivo. Negli ultimi sette anni, da quando è iniziata la vicenda dello stadio, aveva dato soldi all’intero arco della politica iniziando con la fondazione Farefuturo di Gianfranco Fini per arrivare alla Lega di Matteo Salvini e a Eyu del tesoriere Pd Francesco Bonifazi. Si era coperto con il M5S rampante nella capitale e nell’Italia intera grazie all’inviato speciale di Beppe Grillo da Genova Luca Lanzalone, finito agli arresti.
Soprattutto si era consegnato con disciplina e sottomissione alle banche, che in uno spaghetti western non devono mai mancare. Qui abbondano: Unicredit, Popolare di Vicenza, Rothschild Italia. Ma dato che siamo a Roma, il saloon è sostituito dal salotto, che sia al chiuso come quello mitico delle vedova Angiolillo, frequentato da un giovanissimo Parnasi, o all’aperto in una delle occasioni pubbliche in cui il generone romano viene a contatto.
IL CAVALIERE ELETTRICO – Sabato 14 aprile 2018 si disputa il Gran Premio di Formula E. Le auto elettriche del campionato organizzato da Alejandro Agag corrono per le strade dell’Eur, una delle zone della capitale dove il gruppo Parnasi ha investito di più. Le cronache riportano i nomi e le foto dei vip come Alberto di Monaco, Sienna Miller, Jean Todt, Aurelio De Laurentiis, Flavio Briatore, dei politici Antonio Tajani, Pierferdinando Casini, Francesco Rutelli. Ovviamente, non pub mancare il sindaco Virginia Raggi accompagnata dal suo leader nazionale Luigi Di Maio, trionfatore alle elezioni del 4 marzo. C’è l’inevitabile Luigi Bisignani a fare gli onori di casa, con il figlio Renato che dirige la comunicazione di Formula E. L’ex piduista fa valere il suo rapporto di amicizia con Alessandro Daffina, ad di Rothschild che è stata consulente nella vendita dell’As Roma e del Milan berlusconiano, e si spende per Parnasi.
Su richiesta dell’immobiliarista, interviene a favore del neopresidente dell’Acea Lanzalone “infastidito per le allusioni maliziose al suo rapporto con la consigliera Giada Giraldi” apparse su Dagospia. Fra i presenti al Gran Premio, c’è il presidente del Coni Giovanni Malagò, per vent’anni alla guida del Canottieri Aniene. Altri due soci del circolo sul Tevere parlano in disparte. Sono Mauro Baldissoni, direttore generale dell’AS Roma, e Parnasi, proprietario, attraverso Capital Holding di Eurnova che è il Pmo (project management office) del nuovo stadio della Roma a Tor di Valle. Non lontano c’è anche il proprietario del club, il bostoniano Jim Pallotta. Lui con Parnasi parla il meno possibile. Da tempo il finanziere statunitense si esprime con grande libertà di pensiero e frequente uso della“E.. word” sull’immobiliarista romano. Lo vede come un ostacolo alla rapida attuazione di un progetto che era stato annunciato in partenza nel 2016.
Pallotta ritiene, non a torto, che Parnasi gli sia stato imposto da Unicredit e, in particolare, dall’allora ad Paolo Fiorentino e dall’avvocato della banca Roberto Cappelli, presidente della squadra nel 2011 con un ruolo fondamentale nel passaggio del club dalla famiglia Sensi ai capitali a stelle e strisce della Neep. Pallotta ha dovuto accettare i diktat della banca. Unicredit si trovava nella posizione unica di essere il principale creditore della holding Parsitalia di Parnasi, del gruppo Papalia-Sais ex proprietario di Tor di Valle e della Roma stessa, sia in versione Sensi sia in versione Usa. Salvo i soldi alla Neep, sono tutte eredità dell’incorporazione di Capitalia e di annidi prestiti concessi su ordine di Cesare Geronzi ai costruttori romani. Ma i rapporti fra Pallotta e Fiorentino che, anche se da un anno guida Carige, continua a criticare il calciomercato dei giallorossi, si sono deteriorati da tempo. Lo stesso vale per le relazioni con la banca, tanto che lo hedge-funder ha deciso di spostare il debito dall’istituto italiano al suo nuovo partner di riferimento Goldman Sachs.
SCHEMA ITALPETROLI – Il motivo per cui Unicredit è condicio sine qua non nelle vicende dello stadio si trova fra le carte di Parsitalia. Lontano dalle luci mediatiche del nuovo impianto, delle cubature, degli accordi con Disney, Starwood e il Qatar, delle opere pubbliche che si faranno o forse no, dentro Parsitalia si consuma un bis della vicenda Italpetroli. Come era successo con la holding del presidente scudettato Franco Sensi, i creditori impongono un durissimo piano di rientro all’azionista di maggioranza, Maria Luisa Mangosi, la madre di Luca Parnasi che ha finanziato, secondo norma, il sindaco di Milano Beppe Sala per 50 mila euro. Nell’arco di tre anni dall’agosto 2014, Unicredit risolve il problema dell’esposizioneda 726 milioni (dato 2013) distribuita su 19 controllate di Parsitalia in modo graduale ma semplice. La banca nomina un suo uomo, l’ex Aedes Michele Stella, come manager e attraverso una serie di passaggi tecnici si prende tutto il piatto, rappresentato da appalti per molte centinaia di milioni.
A quel punto, Parnasi resta in vita come imprenditore solo perché ha in mano i terreni di Tor di Valle, messi dentro Eurnova e finanziati da Unicredit per una cifra modesta (9 milioni). Ma Parnasi non ha, fin dall’inizio, le risorse per costruire, che devono essere private. A ottobre del 2015 si accorda con la famiglia Pizzarotti e costituisce la Buildit che in italiano significa “costruiscilo” e in romanesco-tottiano “famo ‘sto stadio”. I costruttori di Parma hanno l’80 per cento. Il resto è di Parnasi e dei fratelli Maurizio e Prospero Calb, romani con residenza monegasca. I progetti da sviluppare sono due. Il primo è l’area di Castellaccio (zona Eur) destinata a diventare il nuovo quartier generale dell’Atac. Il secondo è lo stadio. L’appalto di Castellaccio, 80 milioni di lavori, finisce con l’esposto in Procura perché l’Atac non compra più l’immobile ma lo affitta a prezzo maggiorato. Sullo stadio la partita è in corso ma Pizzarotti continua a giocarla. Parnasi, non è detto.
RATE ARRETRATE – Dopo gli arresti alcuni passaggi delicati minacciano il futuro dello stadio. La Procura ha sottolineato che il progetto non è messo a rischio dall’inchiesta. Il Campidoglio, per quanto di sua competenza, ha confermato. Eppure le ombre restano. E necessario nominare un nuovo presidente di Eurnova dopo che Parnasi si è dimesso dal carcere. Se la sua posizione si aggraverà, potrebbe essere nominato un amministratore giudiziario, anche se per ora non sembrano esserci gli estremi. Ma per quanto Parnasi resterà in sella e come procederà l’operazione? Fra gli elementi di possibile ritardo c’è l’inchiesta del pm romano Mario Dovinola che valuta il ruolo di Parnasi nel fallimento della Sais di Gaetano Papalia, ex padrone di Tor di Valle. Il re degli ippodromi, coinvolto con le sue società di gestione nella bancarotta di Agnano e Firenze, sostiene che Parnasi non ha saldato il prezzo di cessione dei terreni alla Sais, oggi in mano al curatore fallimentare. «Parnasi», dice Papalia all’Espresso, «ha pagato fino a oggi rate mensili per circa 19 milioni di euro sui 42 milioni complessivi. Per questo Sais ha ancora in pegno la metà del capitale di Eurnova. Mi risulta che l’ultima rata sia stata pagata da Eurnova a marzo di quest’anno».
Se questi sono i termini dell’accordo, una sospensione duratura dei pagamenti potrebbe fare scattare una istanza di fallimento da parte della curatela Sais. A quel punto, Parnasi sarebbe praticamente costretto a cedere e non certo per i 200 milioni di euro che pensava di ottenere dal gruppo De Agostini che da Parnasi i soldi li ha finora solo presi: la holding Pentapigna, quella che finanziava la Lega, nel 2015 ha comprato 30 milioni di quote di Idea Fimit (gruppo De Agostini) con una perdita immediata di 2 milioni di euro a bilancio per l’investimento di Ecovillage a Marino, Castelli Romani. Tornando a Papalia, la sua ricostruzione è questa. «Lo stadio è stata una seconda opzione per Parnasi che, sull’area dell’ippodromo, voleva realizzare un complesso residenziale attraversato da canali d’acqua sul modello di Amsterdam, con cubature fino a 300 mila metri. A marzo del 2010 abbiamo firmato un preliminare per 42 milioni più Iva con 600 mila euro di caparra. Tempo dopo gli dissi che ero stato contattato per il nuovo stadio da Rosella Sensi e gli consigliai di partecipare con Tor di Valle alla selezione delle aree avviata da Cushman e Wakefield. Ad aprile 2012 formalizzammo il secondo accordo con una caparra di 3 milioni. Parnasi non li aveva. Li chiese alla Popolare di Vicenza, più altri 5 circa per i costi di startup. Forse non li ottenne. Comunque non me li diede. Così non mi fu possibile pagare il debito con Equitalia che a febbraio 2013 chiese il fallimento della Sais, dichiarato a maggio del 2014, poco dopo la firma del terzo accordo, quello definitivo, per la cessione dell’area a 42 milioni».
Nel frattempo, Tor di Valle aveva superato sia la prima selezione, quella delle settanta aree, sia la seconda, quella delle dieci, e aveva vinto dopo essere arrivata in finale con i terreni della Bufalotta (Lamaro-Toti) e di Tor Vergata (Vianini-Caltagirone).
GROSSO GUAIO ALL’IPPODROMO – Non c’erano motivi particolari di eccellenza dell’ex ippodromo sulle altre due. Ma c’erano le centinaia di milioni di debito con Unicredit che al tempo governava, di fatto, la Roma. Fiorentino voleva Parnasi e così Baldissoni, Cappelli, Daffina. Anche i fratelli Toti, del resto, erano indebitati con l’ex Capitalia e non erano nella condizione di fare la voce grossa. Caltagirone, che certo non la prese bene, era comunque azionista di Unicredit. Come tale, poteva guardare con favore al risanamento di Parsitalia approvato ad agosto 2014 e chiuso un anno fa, più o meno quando il proprietario della Vianini ha ceduto la sua partecipazione nella banca di Jean-Pierre Mustier. Due mesi prima del fallimento Sais, a marzo 2014, ci fu la presentazione del nuovo stadio in Campidoglio. A dicembre arrivò la dichiarazione di pubblico interesse. Papalia si mostra stupito di parecchie cose. Di come hanno lasciato fallire la sua Sais, ad esempio. O del comportamento di Parnasi.
«Dopo la morte del padre, Luca mi ha bloccato il telefono. L’ultima volta ci siamo sentiti per gli auguri di Natale del 2016». Chi sa se, sotto sotto, spera ancora di essere il genio che rientra in partita dopo un assoluzione per la bancarotta della Sais a Roma. Magari il genio della plusvalenza sarà Pizzarotti o Pallotta o una delle banche coinvolte. Ripartire da capo su un’altra area significa perdere anni. L’uomo di Boston non è disponibile e ha i suoi motivi. Secondo fonti riservate, il finanziamento di Goldman Sachs è vincolato ai tempi di realizzazione dell’impianto che andrà sotto l’ombrello della spa Stadio Tdv. Questa società non è collegata all’As Roma ma direttamente alla Neep dello hedge-funder italoamericano e il suo capitale è interamente in pegno a Goldman Sachs a garanzia dei crediti. Insomma le rassicurazioni di Raggi e della Procura rischiano di essere insufficienti. Oggi la situazione sta tutta in un episodio precedente gli arresti. Francesco Totti, uomo-immagine del club, incontra una persona e gli chiede che sta facendo. Quello dice di essere a Roma per una riunione sullo stadio. Risposta: «ancora co sto stadio». Fulminante. E non è una barzelletta.