Così lontano, così vicino. È un viaggio infinito, ma quando ci si sposta per amore le distanze si annullano. I tifosi della Roma affrontano la trasferta più lunga della propria storia (per quanto riguarda le partite ufficiali) con lo spirito di chi si muove per arrivare dietro l’angolo: “Come andare a Ladispoli”, minimizza uno di loro, sorriso sulle labbra e l’aria di chi ne ha viste troppe per lasciarsi scoraggiare. Sono circa cinquanta, già dalla tarda mattinata a Fiumicino, riuniti sotto le insegne dell’Unione Tifosi Romanisti dell’onnipresente Fabrizio Grassetti, inconfondibile guida di ogni viaggio a tinte rosse e gialle.
Ha in dotazione una sciarpa “Lupi Internazionali”che sul “lato B” sciorina un curriculum europeo da fare invidia a chiunque abbia la Roma nel cuore: quarantadue anni di viaggi continentali, 115 trasferte totali, quella di Leeds saltata soltanto all’aeroporto perché la febbre era a mille, gli stemmi di tutti gli avversari, nessuno escluso. Un mare, metaforico, in attesa di attraversarne altri due, reali. Dal Tirreno al Nero per approdare sul Caspio.
Eppure questa volta i chilometri da macinare sono un’enormità, e anche gli ostacoli da superare non mancano. A partire da quelli logistici, che non rendono la trasferta esattamente la passeggiata: scalo a Istanbul e durata degli spostamenti che si attesta sulle dieci ore complessive, comprese di fusi ma escluse le attese. Ne sa qualcosa Alessandro, 25 anni ma già una discreta esperienza al seguito della Roma, che di chilometri ne aggiunge 250 (di sola andata) ogni volta, arrivando da Cava de’ Tirreni. Poca differenza per lui, come per gli altri. Ne arrivano ancora, sono ragazzi di Curva ma non riconducibili ai gruppi organizzati. Hanno la luce negli occhi di chi si sposta per amore. Loro. Gli altri. Tutti. Sorridono e si abbracciano, bevono e cantano. E nell’aria riecheggia “Sarà bellissimo viaggiare insieme…”. Anche ai confini del mondo.
Maciniamo chilometri
I romanisti la Roma non l’hanno mai lasciata sola. Tantomeno in Europa. Nel 1980 in piena Guerra Fredda attraversarono la Cortina di Ferro arrivando sino a Jena: finì in tregenda. Zero-quattro in campo, eliminazione apocalittica (dopo il tre a zero dell’andata).
Nell’ottobre del 1991 seguirono la Roma nella fredda trasferta scandinava di Tampere. Erano gli ottavi di Coppa delle Coppe. Al ritorno in casa furono cinque i gol dei giallorossi all’Olimpico, ma ai quarti il cammino si fermò: bastò una rete di Rui Barros a eliminare una Roma in maglia blu.
Nel 2005 si presentarono a Tromsø, in Norvegia, con gli elmi da vichingo in testa. Circa 350 chilomentri a nord del circolo polare artico, un campo di calcio che non era un campo di calcio. Kuffour segnò e poi si ritrovò anche lui le corna di plastica sul capo. Ci pensò Cufré poi a regalare il gol che valse la vittoria.
L’ultima trasferta folle che si ricordi è quella di Bucarest con l’Astra Giurgiu. Un centinaio di tifosi andò a vedere la Roma pareggiare zero a zero. Uno striscione si levò dal settore: “Giorgetto vive!”. Sì, lui sarebbe stato lì con loro.