Quel martedì pomeriggio del 7 giugno 1927 il calcio capitolino e le redazioni sportive dei giornali romani vivevano un pomeriggio di assoluta tranquillità. Del resto le ultime gare giocate risalivano a due giorni prima. Un match di Coppa CONI tra Alba e Alessandria e un’amichevole tra la Fortitudo di Zamporlini e Attilio Ferraris e la vecchia Juventus di Roma. La sonnolenza venne improvvisamente dissolta dalla notizia che deflagrò in quei minuti: dall’esito di un incontro tra i rappresentanti della SSF Fortitudo-Pro Roma, della SS Alba-Audace e del Football Club di Roma, veniva annunciata l’avvenuta fusione dei tre sodalizi e la nascita dell’Associazione Sportiva Roma. Dall’inizio del mese di febbraio si parlava insistentemente di trattative in corso «per l’unificazione del calcio romano», ma l’annuncio deve aver colto tutti di sorpresa. Cosa ce lo fa credere?
Semplice, gli articoli che sarebbero usciti l’indomani. Pubblicati da Il Tevere, Il Messaggero e dall’edizione romana de La Gazzetta dello Sport, avevano contenuti praticamente identici, come se non ci fosse stato il tempo materiale di un approfondimento della notizia e si fosse preso spunto da un comunicato emesso poco prima. Sulla capitale si alzava la bandiera di un sodalizio che avrebbe portato il nome e i colori della città, «il giallo e il rosso», che si preparava ad avere un proprio campo da gioco a Testaccio, per il momento a disposizione per gli allenamenti della Prima Squadra, e che per la stagione sportiva 1927/28 avrebbe giocato al Motovelodromo Appio. Presidente della Società era stato designato l’uomo che da almeno quattro anni si batteva senza sosta per arrivare a quel risultato: Italo Foschi. Un uomo che nell’inseguimento del suo sogno era rimasto, ad onta delle tante stupidaggini scritte in questi decenni (Federale della città, governatore, ecc.), completamente privo di cariche politiche. Quelle che gli erano rimaste (come quella di Vice Presidente della Commissione Sportiva per la Provincia di Roma) erano tutte nell’ambito sportivo. Foschi era stato realmente l’uomo della provvidenza, l’unico in grado di districare l’infinita matassa di ostacoli posti sul cammino della nascita dell’AS Roma, il solo capace di coinvolgere con cuore, testa e patrimonio, Renato Sacerdoti, il banchiere che garantì la copertura economica dell’intera operazione con una forte esposizione del Banco Sacerdoti e una partecipazione del Banco Crostarosa (sempre sotto garanzia di Sacerdoti).
Nasceva dunque la Roma e nasceva come un sole potente, ambizioso, sfacciato. Per capire cosa fosse già dal giorno zero della sua leggendaria storia la Roma basta indagare sui numeri (ricostruiti con cura certosina dall’Archivio Storico dell’AS Roma in questi ultimi mesi): 363 atleti calciatori tesserati nelle varie categorie, 38 Atleti per la Sezione Atletica, 23 per la Sezione Ciclismo, 60 tra Dirigenti e membri dello Staff Tecnico. E da lì a pochi giorni il quadro si arricchì in un fenomeno d’entusiasmo popolare inarrestabile con 232 Soci vitalizi, 120 Soci benemeriti, 14 Soci Arbitri e 103 Soci Temporanei. «Tu sei nata grande», avrebbe cantato decenni più tardi Antonello Venditti (testo e musica di Venditti, Scalamogna, Bardotti, Latini) nell’inno «Roma (La Roma non si discute si ama)». Ed è stato proprio così. Dopo tre giorni dall’emanazione del fondamentale ordine del Giorno numero 1 del 22 luglio 1927, che fissava l’organigramma operativo del Club, centinaia di missive di adesione partirono da Via degli Uffici del Vicario in una possente adunata che la Roma sportiva non aveva mai visto per una Società appena nata.
All’inizio degli anni ’90 mi misi alla ricerca di alcuni di quei ragazzi che nel 1927 avevano dato vita a una squadra di calcio. Una squadra che è più di una compagine sportiva, è una carezza sulla storia, un’identità da mostrare con orgoglio, una vicenda sportiva vissuta tra cadute, resurrezioni e vittorie di una gioia indicibile, affrontate sempre con lo spirito scanzonato di un popolo che non ha mai abbandonato la sua fede. Ho personalmente incontrato Giorgio Carpi, Nazzareno Celestini, Mario Bossi, Alfredo Welby, Alfredo Scocco, Carlo Zamporlini, Bruno Michetti e i discendenti di Fasanelli, Mattei, Ferraris IV, Corbyons, Chini Luduena, De Micheli, Degni, Isnaldi, Italo Foschi (nella persona dell’indimenticabile Vittorio Zingarelli), per guardarli negli occhi e chiedere a loro cosa avesse significato essere lì in quel momento, essere la fiamma che ha acceso un fuoco tanto grande. Mi vengono in mente tanti aneddoti, fatti di sguardi e parole. Uno me lo raccontò Mario Bossi, che allora era in prima squadra, ad onta dei suoi 18 anni. Mi disse che alla prima trasferta si presentò in treno ancora con i pantaloncini corti: «Attilio Ferraris – mi disse Bossi – che amava gli scherzi, gettò questi pantaloncini dal finestrino. Ero disperato, avrei dovuto scendere dal treno a Termini e farmela a piedi fino a S. Giovanni in mutande! Ma i miei compagni verso Roma tirarono fuori un paio di pantaloni nuovi e, questa volta, lunghi. Da quel momento li indossai sempre, anche se mia madre quando rientrai a casa esclamò: ‘Figlio mio, che ti hanno fatto!”». Sorrideva mentre lo diceva, ma dagli occhi gli venne giù una lacrima. Penso che con la nascita dell’AS Roma tutta Roma abbia messo i calzoni lunghi diventando grande, lasciandoci vedere orizzonti e traguardi che prima non potevano vivere neanche nei sogni. Auguri Roma!