Era la primavera del 2007 quando la redazione della radio per cui lavoravo mi girò una mail di Radio BBSI, emittente di Alessandria. C’era una proposta di collaborazione a un qualcosa che si annunciava abbastanza ambizioso, ma probabilmente fattibile. Uno dei loro speaker era intenzionato a tentare di battere il record mondiale di diretta radiofonica.
C’era la possibilità di partecipare a questo appuntamento con la storia tenendo compagnia allo speaker per qualche minuto, in collegamento simultaneo tra le due frequenze. Con l’opportunità, per niente di secondaria importanza, di dare visibilità a programma e radio all’interno di un evento dal seguito quasi inestimabile. Accettai subito. Contentissimo di aver fatto parte, una piccola parte, di qualcosa rimasto negli annali della radiofonia planetaria: 135 ore di diretta radiofonica, primato precedente battuto, Guinness World Record.
Quello speaker era Stefano Venneri, che da anni è la voce ufficiale dello stadio del Torino. Quel record invece è ormai stato superato, attualmente lo detiene uno speaker belga che è arrivato a 198. Ma il 4 ottobre Venneri ci riprova, l’obiettivo è 204. Nel frattempo la sua voce scandisce con diversa tonalità le formazioni, mentre passo il tempo con il cellulare in mano, tra le foto al riscaldamento della squadra e le risposte ai tanti e graditi auguri di compleanno ricevuti. Perché domenica era il mio compleanno.
Qui invece festeggiano Martin Vazquez e i suoi 51 anni, ma è giusto così. La concentrazione è già su una partita che nasconde insidie di diversa natura. Le nasconde per pochissimo tempo. Dopo 7 minuti sono già lì sul tabellone luminoso. Perché evidentemente prendere gol è nella natura psicosomatica di questa squadra, sembra non poterne fare a meno. E quando la manovra offensiva non brilla, il rischio tecnicamente identificato come “imbarcata” può diventare realtà nel più breve tempo possibile.
L’umorismo piemontese ha canoni tutti suoi. Tanto che, dopo il primo gol dei granata, si sente distintamente qualcuno urlare: “Arbitro, è finita”. D’altronde, come diceva Gianduia Vettorello (corrispondente da Torino per Mai dire gol, interpretato da Teo Teocoli): “Dopo Macario, tabula rasa. Sembra che sia passato Gengis Khan”. Lo stesso Gengis Khan che al cinema aveva il volto di Omar Sharif, uno dei pochi a salvarsi dai giudizi negativi che seguirono l’uscita del colossal Gengis Khan il conquistatore nel 1965, in cui il regista Henry Levine raccontava le gesta del condottiero orientale, colui che mise insieme il più vasto impero terrestre della storia
Battere la Roma in casa era un’impresa che al Torino non riusciva dall’aprile 1989. Quando in testa alle classifiche c’era Francesco Salvi con Esatto. Il che è tutto dire. “One, two, three, quattro. Esatto, esatto, esatto, esatto”, il testo non era particolarmente elaborato, e raccontava la sequenza di una serie di animali che si apprestavano a cantare. Tra questi c’era anche il gallo, verso premonitore della disfatta di domenica.
Perchè, a pochi metri da diverse tavole imbandite torinesi, le sembianze di Gengis Khan le prende un ragazzo bergamasco, capace di arrivare su tutti i palloni e renderli pericolosi anche quando la logica sosterrebbe il contrario. La crescita di Andrea Belotti negli ultimi mesi è impressionante, l’espressione “fa reparto da solo” potrebbe essere spiegata riguardando la sua prestazione. In cui è fondamentale in tutti e 3 i gol, ma non solo.
La Roma ha giocato male, il Torino benissimo. Forse anche oltre le possibilità di una squadra discreta, comunque priva di diversi titolari. Succede anche questo. Però, per quanto i nomi in campo siano di diversa caratura, è difficile portare a casa risultati se si perdono tutti i duelli personali. Quelli decisivi, vedi Fazio con Belotti all’inizio dell’azione dell’1-0, o ancora Belotti contro Bruno Peres in occasione del rigore dato al Torino. Ma anche quelli meno importanti, quelle gocce che vanno a formare il mare di una partita che può avere uno e un solo vincitore.
Se volessimo una ricorrenza anche oggi, possiamo ricordare che il 25 settembre 1979 debuttò a Broadway il musical Evita. Racconta la vita di Eva Maria Ibarguren, attrice teatrale argentina che sposò colui che sarebbe stato uno dei più importanti Presidenti dello stato, Juan Domingo Peron. Non solo: partecipò attivamente allo sviluppo della sua politica, con l’occhio sempre attento alla propria gente. Da allora è Evita Peron, e la sua è una delle esistenze più affascinanti da raccontare.
Senza minimamente doverla ridurre a Don’t cry for me, Argentina cantata dal balcone della Casa Rosada, la sede del governo a Buenos Aires, a Plaza De Mayo. La cui versione discografica più famosa è quella di Madonna, inserita nella colonna sonora della versione cinematografica di Alan Parker che vede protagonisti lei e Antonio Banderas (era il 1996). Anche se la prima interpretazione è quella del mezzosoprano inglese Elaine Paige. Perché lo spettacolo, prima di Broadway, è andato in scena l’anno precedente al Prince Theatre di Londra.
Chissà se faranno un musical anche su Francesco Totti. Legittimo chiederselo alla vigilia dei suoi 40 anni. O magari su Ilary Blasi, autentica First Lady della storia giallorossa. Se mai succederà, speriamo non valga la pena di essere raccontata l’intervista uscita lunedì sulla Gazzetta dello sport. Vorrebbe dire che è passata indenne. Le premesse non sono delle migliori. Più che altro, in questa situazione non ce n’era proprio bisogno.
La classifica è corta, tolte Juventus e Napoli. Ci sono 10 squadre in 3 punti. Ci siamo anche noi, e non avremmo dovuto. Appassionante, direbbe qualcuno. Ma credo ognuno di noi avesse mire più alte. Che ci fossero pure 10 squadre in 3 punti, ma che la Roma ne avesse qualcuno in più. Esatto?