Quando esci di casa la mattina del tuo trentacinquesimo compleanno e la prima cosa che fai è guardare il cielo, non è detto che sia un gesto istintivo. Magari ti ci stai votando per l’ennesima volta. D’altronde fai cifra tonda e qui non è che ci siano tutti questi riferimenti. Magari semplicemente c’è un gioco di nuvole che su di te ha sempre avuto un certo effetto. Magari ti stai soltanto chiedendo com’è il cielo di Baku, nella versione più profana possibile del tuo controverso stato emozionale.
Perché guardare avanti è sempre il miglior rimedio al non volersi guardare intorno. Ma tu fai l’uno e l’altro, abitualmente. Guardi anche indietro, perché non c’è futuro che non sia figlio di un passato su cui ti puoi rimproverare sempre e comunque il giusto. Ma pensi già a mercoledì. Nel vano tentativo di alleggerire la quotidianità. Ma anche nel rispetto profondo del rituale che da più di un quarto di secolo segna la tua esistenza attraverso le partite della tua squadra del cuore. Un calendario alternativo dove testa e cuore si scambiano continuamente peso e ruolo. E in cui, soprattutto, tu non invecchi.
Anche Ligabue si faceva domande sul cielo, in una delle canzoni più belle del suo album più bello. Uscito 22 anni e qualche giorno fa, con un titolo che celebrava il compleanno di uno abbastanza importante. Ogni ascolto di Buon compleanno Elvis non può prescindere dall’ascolto di Se il cielo è vuoto o il cielo è pieno. Si chiedeva del cielo di Bologna. Di cosa, “tra felicità e vergogna”, ci stesse sotto. Oggi probabilmente c’è il presidente Joey Saputo, che festeggia anche lui il compleanno in questi giorni, fiero di una squadra che sembra aver ritrovato l’ardore della propria tradizione.
La stessa cosa per il cielo di Dublino, Il Cairo, Bogotà e Pechino. Ma del cielo di Baku no. Chi poteva pensare all’Azerbaijan 22 anni fa? Era un’entità precisa da pochissimo, l’indipendenza era stata ottenuta soltanto nel 1991, persa tra i tanti nuovi stati nati dopo la disgregazione dell’ex URSS. E ancora doveva approvare la propria costituzione. Lo farà nel novembre di quel 1995. E’ il più grande paese del Caucaso, si parla azero che è una lingua turca scritta in alfabeto latino, ma il territorio è considerato praticamente la congiunzione tra l’Asia occidentale e quella centrale. Diventa quasi banale mettere in mezzo il fascino della terra di confine, che lo sia per posizione geografica o per natura innata.
Baku è la sua capitale e lì gioca il Qarabag. Che però non è una squadra di Baku. Perché il Qarabag rappresenta Agdam, una città che non esiste più. La sua storia è legata purtroppo alle rivendicazioni della maggioranza etnica armena e di conseguenza a quella del conflitto di Nagorno-Karabakh, che portò all’autoproclamazione dell’omonima repubblica nel 1994. Mai riconosciuta dalle autorità dell’Azerbaijan (e nemmeno da quelle internazionali) ma sostenuta da quelle dell’Armenia, la Repubblica di Nagorno-Karabakh ha comunque un capo di stato, un governo ombra, un inno, una bandiera e dei confini ben definiti.
Non potrà dirci com’è il cielo di Baku nemmeno chi l’avrebbe potuto guardare la mattina del suo quarantunesimo compleanno, che passerà invece a Roma. Avrebbe potuto guardarlo a Park Bulvar, una passeggiata che però di sera dà il meglio di sé, quando è tutta fatta di luci. Oppure in piazza Azneft, che è affacciata sul mar Caspio. Quello che qualcuno tende a sminuire come “il lago più grande del mondo”, in quanto effettivamente massa d’acqua chiusa. La più grossa della Terra. Particolare che giustifica l’uso della dicitura di “mare”, che è spendibile principalmente per due motivi: la salinità, per quanto bassa, e comunque le dimensioni piuttosto vaste della superficie idrica.
Poi probabilmente lo avrebbe guardato anche di sera dalla tribuna dello stadio Bahramov. Nascondendo un disappunto che crediamo ancora certo per l’impossibilità di farlo dal campo. Da dove speriamo che invece sia qualcuno dei suoi ex compagni ad alzare lo sguardo e magari anche le braccia. Nel più classico atto di soddisfazione per un risultato che in Champions League non si verifica da troppo tempo se non sotto il cielo di Roma. Sarà questa finalmente la volta buona?