Durante la tappa all’October Palace di Kiev dovette scendere dal palco per sedare una rissa tra due donne. Ma quando Enzo Ghinazzi, detto Pupo, suonò a Kharkiv proseguendo il suo tour in Ucraina e Moldavia fu un successo di cui ancora oggi da quelle parti si parla. Il concerto si tenne al Bolero, un locale in prossimità della fermata della metropolitana Academico Barabashov. Famosa perché dà il nome al più grande mercato all’aperto dell’Europa dell’est, il Mercato di Barabashov. Un’area di 75 ettari in cui è possibile trovare di tutto, dai cosmetici ai materiali per la ristrutturazione di interni. Prende il nome dalla fermata della metropolitana più vicina e non dal famoso astronomo Nikolai Barabashov, che pure è di Kharkiv ma non è stato celebrato così. Gli hanno intitolato un cratere su Marte, un pianeta minore, ma non un mercato all’aperto. Nonostante sia coautore delle prime immagini del far side of the Moon, ovvero il lato della Luna che per effetto della propria rotazione sincrona non è osservabile da qui.
Perché a Kharkiv studiano il cielo in maniera approfondita. Studiano quello e non solo quello. Tanto che lì c’è il più grande polo universitario ucraino, che comprende più di settanta istituti. Tra cui quello di giornalismo dove ha studiato la mia amica Olga, che è di Kharkiv e a cui mando un grosso abbraccio anche perchè senza il suo aiuto questo pezzo non sarebbe stato lo stesso. La metà della popolazione, infatti, ha un’istruzione superiore alla media. Studiano il cielo in modi e a distanze diverse. Perché Kharkiv e il suo oblast’, che nel linguaggio dell’est è una suddivisione territoriale che corrisponde più o meno alla nostra regione (in Ucraina c’è poi un ulteriore grado che sono i rajoni, le nostre province) sono quelli che hanno dato più cosmonauti all’intera Unione Sovietica. Sono ben trenta gli astronauti, di cui ventuno hanno solcato l’orbita terrestre.
Quello che non si sa è se tra questi ci fosse il cosmonauta della stazione spaziale MIR che, nei primi anni ’90, rientrò dopo soli sette mesi nello spazio e si trovò disorientato da una situazione geopolitica del tutto differente. Pare sia un fatto realmente accaduto quello su cui, nel 1994, l’agenzia pubblicitaria francese (ma da poco passata sotto il controllo della Omnicom Group, colosso americano) Tbwa romanzò un proprio spot. A commissionarlo era Il Corriere della Sera. Che tutti i lunedì, martedì e mercoledì proponeva in allegato al giornale l’Atlante dell’Europa e d’Italia nonché l’Enciclopedia geografica mondiale De Agostini. L’idea di certificare i cambiamenti avvenuti nel mondo è valida e prende una spinta abbastanza importante da una campagna pubblicitaria assolutamente geniale.
Per la quale l’agenzia cercava qualcuno che parlasse bene la lingua. Va bene, ma quale lingua? Cominciano a cercare tra i giornalisti e la scelta cade su Dimitri Polounine, all’epoca corrispondente dell’agenzia di stampa Tass di Roma. L’attrice invece viene trovata all’interno di una categoria quasi diametralmente opposta: pare fosse una signora russa che vendeva matrioske a Porta Portese. Lo spot comincia con l’astronauta che si fa largo tra il fumo provocato dall’atterraggio della sua stazione e che inginocchiandosi urla: “Matuska Rossija”. Che è un’espressione che rappresenta la personificazione nazionale della Russia. Molto usata soprattutto durante l’era sovietica, spesso per sottolinearne la natura multietnica.
Viene immediatamente ripreso da un’anziana contadina, che già non sarà stata particolarmente contenta che un rottame spaziale invada un terreno di sua proprietà per di più mentre lei è lì presente e inoltre non si trattiene di fronte all’inesattezza che sente: quale Russia, siamo in Ucraina. Ma l’Ucraina è parte della Russia, secondo l’astronauta. L’Ucraina è Ucraina, la contadina non vuole sentire ragioni. Allora l’astronauta si gioca la carta della vicinanza alla Cecoslovacchia e a Praga. No: qui vicino c’è la Slovacchia, e la sua capitale è Bratislava. In realtà siamo in una cascina di Gallarate, provincia di Varese. Esistono poi diversi finali. Il più famoso è senza ombra di dubbio quello in cui l’astronauta chiede a una gallina se almeno lei è rimasta la stessa di quando era partito.
Comicità piuttosto alta ma ci furono alcune incongruenze. Perché riproporre uno spaccato di una parte di mondo così particolare, estrapolato da un momento storico così particolare, non è una cosa facile. Le più evidenti riguardarono proprio la lingua. Perchè la contadina parla russo e non ucraino. E una donna di quelle zone, del confine tra Ucraina e Slovacchia, al massimo può parlare ungherese. Ma non russo. Anche la gestualità venne a sua volta definita troppo italiana, ma le dita unite sono molto utilizzate anche nell’Europa dell’est.
A Kharkiv invece il discorso è capovolto. La gente risente della vicinanza con il confine russo e di conseguenza parla russo, nonostante il governo abbia sponsorizzato negli anni l’uso dell’ucraino. Fino ad arrendersi e stabilire un referendum, che decreterà la preferenza per il russo come lingua ufficiale. Parlano russo e studiano il cielo in modi e a distanze diverse. Perché a Kharkiv è stato costruito quello che all’epoca (negli anni ’20) era il più grande grattacielo dell’ex URSS, il Gosprom.
E’ situato nella famosissima Piazza della Libertà, la ventitreesima più grande al mondo, cinque volte la Piazza Rossa di Mosca. Inizialmente intitolata a colui che era soprannominato Feliks di ferro, come le calcolatrici meccaniche che una ditta di sua proprietà produceva, per la sua dedizione alla causa. Stiamo parlando di Feliks Edmundovic Dzerdzinskji, il fondatore della Ceka, la polizia segreta bolscevica che si occupava principalmente di combattere i nemici del nuovo regime russo. Una piazza che oggi invece, paradossalmente, ha una denominazione che rende onore all’indipendenza dell’Ucraina.
Il Gosprom ha un’altezza di 63 metri, che con l’aggiunta dell’antenna televisiva installata nel 1955 arriva ora a 108, e un nome che rimanda al concetto di state industry. La sua grande particolarità però è l’essere una famosa opera costruttivista, cioè parte di quel movimento tipicamente russo che all’inizio del secolo scorso rifiutava “l’arte per l’arte” (ovvero l’estetismo) ma la indirizzava verso una forma più pratica e socialmente utile. Infatti i costruttivisti si dedicarono molto al design industriale in quanto a produzione, e allo sviluppo di un confronto diretto tra arte e rivoluzione nella linea teorica.
Sarebbe un peccato vanificare il primo primo posto nel girone di qualificazione della nostra storia. Il nostro personale bauhaus, che era la corrente tedesca del costruttivismo e i cui maestri gettarono gli insegnamenti fondamentali per l’Europa che verrà. Quella che ricominciava da Kharkiv. Quella che un fortunoso salvataggio sulla linea di porta a fine partita ha tenuto in piedi. Senza interessarci del come e del perché. Indirizzandoci verso una forma più pratica e socialmente utile. Neanche contro il Torino si è brillato ma si è vinto bene. Detto tra noi, a voi è cambiato qualcosa?