C’è uno e un solo uomo, sotto questo confine atmosferico cosparso di stelle e nuvole che siamo soliti chiamare cielo, a cui poteva essere concessa una cosa del genere senza lo strascico di alcun tipo di conseguenza. Solo a Francesco Totti potevano permettere di cambiare la scaletta del Festival di Sanremo. E’ storia di settimane fa, ma sappiamo che il Capitano e l’onda sanremese hanno unità di misura del tutto personalizzate quando si tratta dell’essere argomento d’attualità.
“Odio le favole, e il gran finale perchè quello che conta è qualcosa per cui una fine non c’è”, cantava Ermal Meta nella sua Odio le favole, canzone con cui si impose all’attenzione generale proprio durante il Festival dello scorso anno, quando gareggiava tra i giovani. “Odio la Juve”, invece, è quanto ha dichiarato Radja Nainggolan nell’ormai famosa quanto informale chiacchierata con alcuni tifosi. E che non hanno esitato a catapultare tutto sul web. Lui non se n’è guardato più di tanto, e ha continuato a fornire gol e prestazioni da autentico protagonista.
Cosa che Ermal Meta è diventato nel frattempo per quanto riguarda la musica del nostro paese. Che oggi è anche il suo, nato in Albania e naturalizzato italiano. Infatti quando aveva 13 anni si trasferì a Bari, dove molti suoi conterranei approdarono qualche tempo prima. Quando la nave Vlora violò i controlli portuali e attraccò al Molo Carboni. Siamo nell’agosto 1991. L’esodo era soltanto il risultato esternamente percettibile di un normale processo di risposta alla fine di un regime, complice uno sviluppo economico che tardava ad arrivare e che provocava la reazione della popolazione. L’abbattimento della statua di Enver Hoxha, ex dittatore e antenato di chi sul palco del Teatro Ariston si tolse parecchie soddisfazioni (e che a Bari ci è nata, figlia di un profugo che aveva compiuto lo stesso tragitto con una trentina di anni d’anticipo) come Anna Oxa, situata in piazza Skanderbek a Tirana avvenne già verso la fine di febbraio.
Oggi quella piazza è straordinariamente riqualificata e la politica internazionale, scorrendo la cronografia di questo giorno che irrompe nella calma piatta di un mese che avrebbe tutto il diritto di durare quanto gli altri, è una componente fondamentale anche dell’inizio di marzo. Presero il potere Miklos Horty in Ungheria e Alejandro Menendez in Spagna. Stessa cosa fece per la seconda (e molto proficua in fatto di riforme, soprattutto nel mondo del lavoro) volta Josè Ordonez in Uruguay. Il tutto in epoche e contesti troppo diversi tra loro per essere accomunati in queste poche e inutili righe.
Ma c’è un 1 marzo che, con tutto il rispetto per gli altri e per la storia che si portano dietro, è nettamente di un’importanza superiore. Siamo nel 1973. E’ la data di uscita di un album che alcune statistiche dicono essere presente nella collezione di una persona su 12 in tutto il mondo. Senza fare distinzioni tra appassionati di musica e non. E’ The dark side of the moon, capolavoro assoluto dei Pink Floyd. Un concept album che si muove attraverso il tema degli aspetti che sfuggono al controllo umano. Facendo trasparire in maniera abbastanza netta che il titolo non ha niente di astronomico.
Se è vero come è vero che è l’eccezione a confermare una regola, stando alla traduzione errata di un detto latino utilizzato da Fedro in alcune delle sue favole e che in lingua originale aveva tutto un altro senso, una rubrica che normalmente segue l’andamento del campionato di serie A non può fare finta di niente di fronte a un derby di Coppa Italia. Questo 1 marzo per noi era quello. La convinzione che lo scudetto, nonostante i risultati impressionanti che stanno arrivando, probabilmente rimarrà irraggiungibile, principalmente per innegabili meriti altrui. Ma che c’è da giocare anche in due coppe, senza classifiche e punti di distacco a modificarne la visione.
Qui torniamo a “Povia, il piccione” (che è il modo in cui un po’ tutti identifichiamo Vorrei avere il becco, brano con cui Povia vinse il Festival di Sanremo 2006). A quella risposta in cui in tanti hanno visto l’ennesimo sfottò di Totti alla Lazio. Ovviamente non possiamo garantire che non lo fosse. Però lo facciamo considerando che quella fu la canzone vincitrice del Festival presentato dalla moglie Ilary Blasi.
Torniamo alla chiacchierata di Nainggolan, al suo linguaggio colorito, ai suoi cattivi pensieri. Che nessuno di noi si sente di condannare. Perchè si trattava di una situazione non ufficiale, e perchè nessuno è immune né dall’uno né dall’altri. Ma più che altro alla promessa, quella di vincere entrambe le semifinali di Coppa Italia contro la Lazio. Non era importante rispettarla nella sua interezza, come in un doppio confronto qualsiasi è il passaggio del turno ad essere unico giudice. La prima metà della promessa non è andata come ha detto lui, ma anche voi credete che non si sia incrinata in maniera irreversibile la possibilità di essere rispettata?