Malinconica. Come una domenica di metà dicembre che non sembra volerne sapere di prendere una svolta positiva. Consegna istantanee che la memoria vorrà cancellare. Non subito. Non facilmente. C’è un albero di Natale che si colora di rosso. Ma sembra farlo da solo. C’è l’illusione che qualcosa stia tornando a farsi sentire. Ma non ha il tempo di essere. “Puoi scambiarla per tristezza ma è solo l’anima che sa che anche il dolore servirà” cantava Luca Carboni nella sua Malinconia, un capolavoro con cui si ripresentò al grande pubblico nel 2006 dopo qualche anno (troppi) di silenzio.
Il suo Bologna è l’immagine più nitida di questo stato d’animo. Uno 0-0 con l’Empoli di cui non si vedeva l’ora del fischio finale. E noi, invece, quanti 0-0 facciamo nella vita? Nessuno. Nessuno perché non possiamo. Nessuno perché non esistono. Non sappiamo se è giusto o no, ma è così. Scegliamo poco della nostra vita. Troppo spesso purtroppo le circostanze ci indirizzano, ci restringono le possibilità o ci offuscano la vista. Quindi non siamo noi fino in fondo a decidere. Non siamo noi fino in fondo a decidere con chi stabilire un qualsiasi tipo di legame e con chi no. Chi è importante e chi è solo di passaggio.
Non siamo noi fino in fondo a decidere ma tante volte ci viene naturale. Perché? Non c’è una risposta. Non proviamo neanche a cercarla, non serve una ragione in tutte le cose. Non siamo noi fino in fondo a decidere persino le cose da dire a volte. Che sembrano spinte da un destino che non conosciamo, che non riconosciamo. Che escono dalla nostra bocca come un dolce suono. Però ne perdiamo il controllo subito dopo, quando incontrano l’udito sensibile e ferito di chi le ascolta. E non possono contare neanche su un paio di orecchini che con il loro bagliore potrebbero decriptarne il vero significato.
Ma i gioielli sono solo luce artificiale ed effimera. Che se bastassero loro a riflettere un raggio di sole negli occhi di chi vorremmo saremmo tutti più felici. Quello che noi sentiamo o immaginiamo non è necessariamente quello che sentono o immaginano gli altri. Provare a capire è uno di quei segreti che nessuno ci dice mai. E di conseguenza nessuno dice mai neanche a chi dovrebbe farlo con noi. Luciano Spalletti e Vincenzo Montella, invece, preparano questo Roma-Milan così. Carezze reciproche, ma anche grande fermezza nel difendere l’idea di sé stessi. E di conseguenza della propria squadra.
Il gol di Nainngolan comincia con una preparazione sontuosa. Lampo di un secondo tempo da unghie. Peccato solo (ma importanza relativa, molto relativa) per la quantità di critiche gettate sulla prestazione di Dzeko. Che ha sbagliato due appoggi nel primo tempo ma ha fatto una partita maiuscola. Si è messo la squadra sulle spalle, per sintetizzare. E’ la vecchia storia dell’estetica contro la sostanza. Della forma contro la consistenza. Delle troppe volte in cui si tende a dare più importanza a una piccola negatività perdendosi il valore di fondo in cui faticosamente ci si prova a muovere. Spesso solo per cattiva abitudine, involontaria o imposta che sia.
Si vince e si perde, dicevamo. L’importante è voler continuare. Sergio Pellissier ne è un esempio. E’ arrivato a 100 gol in serie A. Uno di Aosta che raggiunge questo traguardo sul campo di Palermo, a conferma di una storia lunghissima con la squadra di un quartiere di Verona, è l’immagine migliore di quest’Italia che accoglie Paolo Gentiloni, quarto Presidente del Consiglio consecutivo che nessuno di noi ha deciso (o forse si). Più di 400 partite nella massima serie ma solo una in Nazionale, un’amichevole contro l’Irlanda del Nord. Però anche quella volta ha segnato. Perché le fiabe sono tutt’altra cosa rispetto a quello che ci circonda. Ma ogni tanto dobbiamo essere aperti al pensiero che possa succedere qualcosa di positivamente suggestivo anche a noi.
Per questo di certo giovedì sera, mentre la Roma a Bucarest assolve la formalità di incontrare di nuovo l’Astra Giurgiu, da qualche parte nel mondo, in un ristorante qualunque, ci sarà stata una donna che ha sfoggiato il suo sorriso migliore davanti a un regalo inaspettato. Niente di eccezionale. Se è ripetuto anche di fronte a ogni gesto di cortesia, obbligato dal ruolo, di chi per dovere è parte inconsapevole di quel momento sospeso dalla realtà. E’ qui che tutto cambia. Quando quel momento dovrebbe (e per qualcuno vorrebbe) essere appunto solo la realtà. La quotidianità. La ripetitività. Come nel calcio. Se siamo costruiti per vincere è il momento di dimostrarlo. Finalmente sporchi, finalmente rispondendo alle avversità. Il rigore parato, l’1-0 difeso fino all’ultimo secondo. “E tutto sta ai tuoi piedi, tutta la vita vicino e lontano, tutto il tempo a portata di mano. Non è proibito niente, ma tutto non si può. Puoi cavalcare l’onda del mare, ma tutto il mare no”, cantava Francesco De Gregori nella sua La luna e il dito. Non sempre tutto deve essere tanto bello quanto filare liscio per portare a qualcosa di importante. La decisione spetta sempre e comunque a noi: onda o mare?