Il 4 ottobre 1995 esce uno dei singoli più amati e radiofonicamente trasmessi di un grande artista italiano, ovvero Luca Carboni. Si chiama Inno nazionale, non ha la minima ambizione di portare via il posto a quello di Goffredo Mameli ma semplicemente quella di rispostare l’attenzione su un artista bravo ma che ha i suoi tempi. O quantomeno quelli di un certo tipo di percorso artistico. Infatti non pubblicava un album inedito da ormai tre anni: Carboni, quello di Ci vuole un fisico bestiale e Mare mare, era uscito nel gennaio 1992. Mentre l’ultima uscita in assoluto era comunque la raccolta Diario Carboni dell’ottobre 1993.
Missione compiuta. La canzone si discosta parecchio dallo stile del primo Carboni, ma fa presa sul pubblico in maniera totale. L’album esce qualche giorno dopo, il 12 ottobre. Che è lo stesso giorno in cui, nel 1946, gli italiani scelsero il loro inno nazionale. Si chiama Mondo, e per non sottrarsi al proprio nome verrà pubblicato anche in Germania, Olanda e in lingua spagnola in Argentina. Quello del calcio, di mondo, invece è abbastanza strano. La Lazio ha passato il turno meritatamente in Coppa Italia. Non fosse altro perché ha un monte ingaggi quasi dimezzato rispetto alla Roma. E questo deve rimanere il presupposto da cui partire.
Però se uno sente parlare Simone Inzaghi, sembra Arrigo Sacchi che decanta il Milan degli olandesi. La Lazio è una buona squadra, messa molto bene in campo, che davanti ha calciatori in grado di creare in ogni momento. Gioco, poco. Lo 0-3 nel posticipo contro il Napoli dimostra che quando possono fare qualcosa di buono tornano ai livelli abituali. Invece il dopopartita del derby di ritorno si trasforma, anche da parte dei giornalisti tv, nell’elogio di un qualcosa che era però una sconfitta. Complimenti, fasce chiuse, Milinkovic-Savic che limitava, Lulic che chiudeva, presunti capolavori tattici. Ma la Lazio ha perso 3-2. Vada per i complimenti in generale, perché quelli vanno fatti di certo. Per la qualificazione.
Ma per la partita meno. O meglio: se proprio vogliamo farglieli, facciamoglieli per il coraggio di essere andati a fare 2 gol, di non essere stati attendisti nella difesa del vantaggio acquisito all’andata. Perché la Lazio non doveva prendere 3 gol, e invece li ha presi. Detto questo, la Roma ha fatto più o meno la partita che doveva. Ha giocato senza farsi prendere dalla frenesia. Mai, purtroppo. Neanche quando avrebbe dovuto almeno alzare un po’ il ritmo. La qualificazione l’ha persa comunque all’andata, non lì. Se non altro per l’elementare ragionamento secondo cui all’andata ha perso e al ritorno ha vinto.
“Napoli no che non lo sa, che allo spettacolo stavolta non si ride”, cantava Enrico Ruggeri nella sua Napoli no. Il ritorno di Higuain al San Paolo si consuma in due atti. Nessuno ride, soprattutto nel secondo. Quando l’argentino segna una doppietta e regala alla Juventus la finale di Coppa Italia nonostante la sconfitta per 3-2. Con tanti complimenti al Napoli però stavolta, vai a capire. Eppure là sanno cos’è l’entusiasmo. Se ne accorsero anche e soprattutto in quell’estate. Quella del 1996. Quando alla registrazione della finale del Festivalbar in Piazza del Plebiscito si trovarono 120.000 persone. Costringendo l’organizzazione a far cantare Enrico Ruggeri (con quella canzone) e gli altri in diretta regionale su Italia 1. Mandando ripetutamente degli spot che invitassero le altre persone a non presentarsi per motivi di ordine pubblico.
A quel Festivalbar partecipava anche Luca Carboni. Con il terzo singolo tratto in primavera da Mondo, dopo il quasi inosservato Ni na na. Si chiama Non è, e accompagnerà l’arrivo dell’estate. Quella del 1996. “Luglio, agosto, settembre, sempre rivoluzione”, dice Luca Carboni nel testo. Sembra proprio parli di noi. L’uscita dalla Coppa Italia parrebbe aver sancito l’addio di Luciano Spalletti. In maniera anche più nitida rispetto a quanto hanno fatto le dichiarazioni sull’alzare trofei o meno. L’ennesima rivoluzione potrebbe avere un nome, un cognome e un soprannome: Ramon Rodriguez Verdejo, detto Monchi.
Ci sono stati diversi indizi negli ultimi tempi. Le sue foto sul campo dei Boston Celtics. Un libro dal titolo L’italiano in 30 giorni che pare spuntasse dalle sue tasche. Nei 30 giorni in cui cercherà di imparare l’italiano, la Roma cercherà di dare un senso compiuto al suo eventuale lavoro futuro. Che a Siviglia ha svolto in maniera decisamente brillante. Lì si è praticamente fatto, da portiere prima e da direttore sportivo poi. La prima carriera non ha mai preso il volo, è stato per anni il secondo di chi si è alternato tra i pali del Siviglia. Però intanto di calcio ne ha visto tanto, dalla panchina. Ha giocato con Suker, con Zamorano. Addirittura con Diego Armando Maradona.
Smette a 31 anni, dopo aver riportato il Siviglia nella Liga da titolare, e si siede dietro la scrivania. Della seconda carriera, tutti sappiamo. Ma c’è una data, nella sua prima carriera, che segna un incrocio molto curioso se il futuro dovesse essere quello del libro che porta in tasca. Ancora in quella stessa estate, è il 23 agosto 1996. Il suo Siviglia viene all’Olimpico per un’amichevole contro la Lazio. Lui gioca titolare, Giuseppe Signori se lo trova davanti ma calcia il rigore sopra la traversa. Finisce 1-1, e allora i rigori li devono calciare tutti. Ma proprio tutti, perché si va a oltranza. Tirano anche i due portieri. Luca Marchegiani prende il palo, Monchi segna. Alla Lazio. Vince il Siviglia.
Sarà proprio la Lazio a scendere in campo per prima nel campionato di serie A che stava per cominciare. Lo farà sul campo proprio del Bologna, all’epoca neopromosso. In tribuna le telecamere sono tutte per Gianfranco Fini, che si presenta con l’ormai ex moglie di fede laziale Daniela Di Sotto e con il 15.7% preso dal suo partito alle elezioni di aprile. Si dichiarerà tifoso di entrambe le squadre per l’occasione, cosa che non sembra inusuale per chi proviene dalla classe politica, ma sarà il Bologna a vincere 1-0 con gol di Davide Fontolan, detto Fontolino (perché tutto quello che inventava la Gialappa’s Band a Mai dire gol in quel periodo entrava di diritto nella cultura di massa).
Invece la Roma a Bologna fa qualcosa che assomiglia a una partita, vincendo contro una squadra che non ha più niente da chiedere al campionato e comunque troppo inferiore. Noi non sappiamo se Monchi sarà il nostro prossimo direttore sportivo. Né se imparerà l’italiano in 30 giorni. Però sappiamo che negli stessi 30 giorni si definirà la nostra posizione in questo campionato. Poi ci faremo un’idea più precisa delle cose. Se sarà, ed eventualmente come, rinnovamento. Senza dimenticare che Monchi ha giocato un’altra amichevole precampionato a Roma. L’anno prima, 20 agosto 1995. Contro la Roma. Che vinse 1-0. Chi segnò?