“Singing in the rain”, cantava Gene Kelly nella scena che più di ogni altra l’ha consacrato a icona del cinema. Coreografo della maggior parte dei suoi numeri, a proposito di sé stesso era solito dire: “Fred Astaire rappresenta l’aristocrazia. Io, invece, il proletariato”. Icona del cinema e non solo. Anche del cinema nel cinema. Basti pensare a quante volte viene citato da Ferdinando Moriconi (interpretato da Alberto Sordi) in Un americano a Roma. Regia di Steno, contenitore di riferimenti al mito statunitense che l’Italia del 1954 conosceva però soltanto attraverso film, fumetti e riviste.
Alberto Sordi, oltre a regalarci momenti rimasti paradossalmente (visto il senso originario della produzione) nella romanità più autentica, venne anche insignito della cittadinanza onoraria di Kansas City e della carica di Governatore onorario. Perché la sua interpretazione, da quelle parti, venne vista come propaganda favorevole agli USA. Che, in realtà, non ne avevano tutto questo bisogno. Almeno in Italia, dove pellicole come Un americano a Parigi (uscito nel 1951) avevano già tracciato un solco molto importante. Mentre l’anno dopo fu il turno proprio di Singing in the rain, un film musicale ambientato in una Hollywood profondamente modificata dal passaggio dal cinema muto a quello sonoro. Precisamente nel 1927. Che è un anno che ha una certa importanza, come ognuno di noi sa benissimo.
Ma sotto la pioggia di inizio secondo tempo della partita di sabato, a cantare era solo il Napoli. Avanti di 2 gol e padrone della partita. Prima della reazione, rabbiosa ma tardiva, di una Roma colpevole di aver aspettato tanto (troppo) prima di fare affidamento quantomeno a una riserva di rabbia insperata. Poi i pali, le parate di Reina, episodi a cui diventa comunque difficile attaccarsi per spiegare una sconfitta che cominciava molto prima. La Juventus pareggia a Udine e sembra quasi prenderti in giro. Farti vedere che non scappa quando potrebbe. Ma tu sai benissimo che lo farà appena sarà necessario.
Il riferimento iniziale mi rendo conto che può sembrare banale, ma d’altronde è da un mesetto che ci fanno sentire queste parole insieme a tutto il resto della canzone vincitrice del Festival di Sanremo, Occidentali’s Karma di Francesco Gabbani. A sua volta contenitore di una serie di clichè e aforismi (veri o presunti) che gran parte della società usa senza neanche sapere il perché. Ce ne sono di William Shakespeare, di Stanley Kubrick, di Marylin Monroe. Anche del filosofo greco Eraclito, per quanto l’espressione “panta rei” venga a lui attribuita pur senza comparire in nessuno dei suoi scritti.
In pochi se ne sono resi conto, perché tutti stavamo sorridendo dell’espressione “La scimmia nuda”. Senza averne apparenti grandi motivi. Perchè è il titolo di una pubblicazione dello zoologo inglese Desmond John Morris del 1967. In cui viene descritta l’evoluzione del genere umano, dalla preistoria in poi, attraverso una serie di comportamenti che non differenziavano di molto l’uomo dai primati. Parecchio convincente, ancora oggi è un best seller. La sociobiologia evidentemente non è niente di sconvolgente per chi, qualche anno prima, pare fosse riuscito a vendere a Pablo Picasso un dipinto realizzato da uno scimpanzè di nome Congo.
Roma e Napoli si buttano così nelle coppe europee. Tra convinzioni scalfite e morali risollevati. Tra il Real Madrid che prenota tutto per sé l’hotel a Palazzo Caracciolo dotato di wi-fi potentissimo e stanze insonorizzate e una Lione pronta a riaccogliere i colori giallorossi 10 anni dopo una delle loro pagine storiche scritte oltreconfine. Perché sono passati 10 anni esatti da quella vittoria negli ottavi di Champions League, era il 6 marzo 2007. Il Festival di Sanremo l’ha da poco vinto Simone Cristicchi, con la struggente Ti regalerò una rosa. Mentre la squadra è reduce da un deludente pareggio in casa dell’Ascoli, che era indiscutibilmente ultimo in classifica.
Il pareggio di Wilhelmsson arriva a 5 minuti dal termine, fissando l’1-1 dopo il vantaggio di Soncin. Ci si chiedeva quante possibilità ci potessero essere contro Juninho, Govou e Malouda dopo la brutta figura rimediata contro Eleftheropoulos, Corallo e Boudianski. Invece sappiamo tutti come andò. Perché il calcio, come parecchie altre cose della nostra esistenza, può essere interpretato in maniera molto diversa nel giro di pochi momenti. In panchina c’era chi c’è adesso, chi ha appena fatto 200 partite di campionato con la Roma, compreso quel pareggio senza gloria. Luciano Spalletti aveva avvisato tutti su un possibile calo. Ma siamo anche abbastanza certi che sia lui, un toscano a Lione, l’unico che sappia come rimediare. Chi altrimenti?