Il calcio non è più solo pallone, è soprattutto business. La polemica innescata dal presidente della Roma, James Pallotta, con la replica dell’ad del Milan Marco Fassone trascina i tifosi in una materia complessa: il calcio e la finanza. La Uefa agita lo spettro di un fair play finanziario più rigido e anche gli allenatori lamentano prezzi fuori controllo dei calciatori. José Mourinho guida il Manchester United, il club più ricco al mondo, eppure ha detto: «Tutti stanno pagando cifre enormi per giocatori normali». Si alzano i prezzi dei cartellini e, di conseguenza, si gonfiano quelli degli stipendi, schizzati negli ultimi anni. Colpa (o merito) della Champions League. L’Italia dalla stagione 2018-19 avrà 4 posti garantiti nei gironi, un eldorado da non farsi sfuggire.
Il fair play Uefa impone paletti rigidi: bisogna avere bilanci sostenibili. Per farlo fissa un paletto sul monte ingaggi da tenere entro il 50-60% del fatturato. Apparentemente le prime cinque squadre italiane (Juventus, Napoli, Roma, Milan e Inter) lo rispettano. Ha colpito la campagna acquisti dei rossoneri che ha scatenato le ire di Pallotta. Tralasciando le spese per i cartellini e concentrandosi sul monte ingaggi, allo stato attuale il Milan spenderebbe circa 115 milioni (lordi) in stipendi. Nel 2016 il fatturato è stato di 236 milioni, quest’anno dovrebbe arrivare a superare i 250. In serie A a spendere più di tutti per gli stipendi è la Juventus con un monte ingaggi di circa 145 milioni. I bianconeri però sono una macchina da soldi e le stime del 2016-17 parlano di un fatturato di circa 540 milioni. A spingere la Juventus è stata la Champions League. I campioni d’Italia hanno incassato più di tutti in Europa. L’Uefa gli ha pagato 109 milioni, 30 più del Real Madrid (80) che pure la coppa l’ha vinta. Subito dietro il Napoli che ne ha intascati 65. Il club di De Laurentiis, accorto nella gestione, ha un fatturato stimato nel 2017 di 307 milioni e a oggi un monte ingaggi di circa 105, dietro Juve, Milan e Inter. L’esclusione dalla Champions pesa sulle spalle dei nerazzurri che comunque, grazie alle varie partnership con Suning, hanno aumentato i ricavi e dovrebbero fatturare nel 2016-17 circa 270 milioni. Anche qui il monte ingaggi è una voce alta: 110 milioni.
Grazie alle varie cessioni la Roma ha abbassato il tetto stipendi a circa 90 milioni. Grazie ai proventi della Champions League (68,4 milioni), i giallorossi nel 2015-16 avevano un valore della produzione di 311 milioni. L’ultima stagione però sono rimasti fuori e il fatturato calerà. In generale gli stipendi crescono e sono la voce più pesante del bilancio. I diritti tv tengono a galla il calcio, per le big però sono i soldi della Champions a fare la differenza. Chi sta fuori inevitabilmente deve stringere la cinghia. Anche perché i club italiani raccolgono pochissimo da altre fonti. Il report pubblicato dall’Uefa lo scorso gennaio inchioda le società di Serie A. Da sponsorizzazioni e introiti commerciali i nostri club hanno incassato solo 386 milioni, piazzandosi al 6° posto in Europa dietro Inghilterra (1,3 miliardi), Germania (1 miliardo) Spagna (562 milioni), Francia (545) e addirittura Russia (427). In questo campo, la Serie A è tra le pochissime leghe a perdere (-3%). Il dato ha due letture: la negativa è che non sappiamo vendere il nostro prodotto a sponsor e tifosi (lampante la piaga del falso merchandising), la positiva è che se impariamo a farlo ci sono ampi margini di ricavi. Al momento stiamo in piedi, seppure in equilibro precario e anche se molti club sono gravati da debiti (251 milioni il debito della A nel 2016). Non centrare la Champions significa però farsi male. Una delle cinque sorelle starà fuori di sicuro e resterà con il cerino in mano.