Una terra sul confine che da esso prende letteralmente il nome. L’Ucraina delle lunghe distese di campi sepolti dalla neve e delle infinite steppe che si susseguono costeggiando le acque dei fiumi che, prima di rinascere, vanno a morire nel Mar Nero. L’hanno varcato in centinaia e centinaia quel confine, solcando le nubi e giungendo in quel di Charkiv dopo un lungo viaggio fatto di soste e attese, di bandiere custodite con premura e di vessilli tornati finalmente a vedere la luce. La luce di un paese più ad Est della Udine che non era per loro, ma queste terre storicamente vittime delle pressioni interne e vicine sì, son luogo per i romanisti. Quelli che non hanno esitato a puntare nuovamente un gettone sulla Roma, perché non esistono tempi cupi ma solo un “sarà bellissimo” che non si farà fatica ad udire all’interno del Metalist Stadium. Hanno sorvolato le acque del fiume Dnepr che i nostri antenati erano soliti chiamare Danaper, il cui corso taglia in due il paese ricongiungendosi in una stretta di mano con Kiev e i piedi incrociati giù a Dnipropetrovs. Quel Dnepr che taglia a metà il terreno e Charkiv e Donetsk sul lato che da decenni guarda la Russia con un occhio nostalgico e l’altro di risentimento.
Uno sguardo diviso com’è divisa una Ucraina dinamica con la sua storia, fatta di brusche interruzioni e sprint improvvisi. Quelle terre descritte da Gogol e fino alla miniere del Donbas dove sarebbe bello un giorno veder rotolare di nuovo un pallone di cuoio e dove Aleksej Stachanov da uomo divenne mito. Eccoli, gli stakanovisti giallorossi che macinano chilometri tanto quanto grano veniva macinato in un luogo che conobbe la morte per fame innaturale e decise di ribattezzarla “Holodomor”. Figlia di una carestia che colpì l’Ucraina all’inizio del secolo scorso, inginocchiatasi di fronte ai continui conflitti e a cui è dedicato ogni anno il quarto sabato di novembre.
Sono arrivati a bordo di aerei o su strada seguendo con gli occhi sognanti il percorso di binari, così come fece la leggendaria famiglia figlia della fantasia di Steven Spielberg che da una cittadina non lontana da Charkiv partì alla volta del nuovo continente. Quel “Fievel sbarca in America” colonna portante dell’infanzia di molti. Dalla capitale ad una Charkiv che capitale lo è stata e per festeggiarne lo status decise di innalzare un abnorme edificio, il Gosprom che si dice sia impossibile da buttar giù e resista ad ogni emorragia interna.
Hanno passeggiato per la Piazza della Libertà tra le più ampie non solo d’Europa, ma del mondo tutto. Un luogo un tempo delimitato ad ovest da una statua di Lenin che a sud abbraccia il parco intitolato a Taras Shevchenko. Nulla a che vedere con colui che allontanò uno scudetto da Roma, con tutto il rispetto del caso. Il poeta di fama eterna autore della più grande opera mai scritta in una lingua che, per bocca di tutti, è non solo padre ma insegnante della stessa. Il cui nome compare in tutta la sua solennità nel titolo di un vecchio Vhs dei New Order, gruppo nato sulle ceneri dei Joy Division in seguito alla morte di Ian Curtis. Venerato come un martire e forse qualcosa di più, generazioni intere di ucraini hanno sognato ad occhi aperti ripetendo a memoria il suo Zapovit (testamento) e il suo esortamento. “Lottate e vincerete” che nella notte di Charkiv è stato stravolto per divenire un “lotta e vinci insieme a noi”.
E serviranno armature pesanti per proteggersi dal vento gelido dell’Est. Una passione diventata armatura per non permettere a nessuno di utilizzarla contro di loro. I vecchi ucraini, figli di ricordi di un tempo così lontano, son soliti utilizzare un antico proverbio riferendosi all’amata terra: “La lingua ti porta fino a Kiev”. Il cuore invece ha portato centinaia di romanisti a Charkiv, al fianco della loro Roma.