«Guarda caso proprio ora hanno fatto richiesta di vincolo, dopo anni che il procedimento era già in corso. Che puntualità…». C’è come una smorfia nella voce di Andreas Kipar mentre cerca di contenere il tono ironico con cui constata la coincidenza dell’annuncio della Soprintendenza sul vincolo che potrebbe far saltare definitivamente i sogni dello stadio della Roma a Tor Di Valle. Kipar è la mente che ha partorito il cuore verde del progetto che dentro di sé contiene una cittadella fatta di uffici, negozi e parchi: su un’area complessiva di 180 ettari, 63 saranno solo di verde pubblico, con 9 mila alberi nuovi piantati e 11 km di piste ciclabili. «Dalle prime passeggiate che abbiamo fatto a Tor Di Valle era evidente lo stato di degrado accumulato negli anni – spiega – Ma nessuno ha mai fatto delle osservazioni. Ora invece sento usare termini di una volta, come “colata di cemento”, da chi non sa di cosa sta parlando». L’ippodromo, proprio la struttura che la soprintendenza vorrebbe vincolare, è la prova per Kipar che la zona «non è un luogo vergine dal punto di vista delle costruzioni». Anzi, «li si che è stato utilizzato molto cemento, poi lasciato a se stesso».
Tedesco di nascita, da decenni in Italia, Kipar è architetto del paesaggio, docente al Politecnico di Milano, e fondatore di Land, gruppo d’avanguardia nell’urbanistica green che ha operato già in diverse città tagliate al loro interno dai fiumi, come Torino. È uno che conosce insomma le pastoie della burocrazia italiana, un labirinto dentro cui invece si è trovato spaesato Dan Meis, l’archistar americana a cui è stato affidato il disegno dello stadio. «Non posso dire che non me lo aspettassi. L’Italia è famosa per le difficoltà nel cercare di costruire grandi opere». A Venice Beach, in California, nello studio dell’architetto specializzato in stadi e arene (sta ristrutturando anche il Dall’Ara di Bologna), arrivano gli echi delle polemiche che si stanno scatenando in questi giorni: «Spero che tifosi e cittadini non si scoraggino» ci dice mentre rievoca con entusiasmo lo spirito di fondo del suo progetto: «Ciò che lo rende unico rispetto a tutti gli altri stadi del mondo è l’attenzione dedicata alla Curva Sud, dove si riunisce il tifo più caldo della Roma. Sarà monumentale». D’altronde, «tutto nello stadio è ispirato al Colosseo», come sogna il capitano Francesco Totti, «dal tetto, mobile e leggero, fino al muro di travertino galleggiante che rivestirà la struttura, con tecnologie che lo renderanno un modello all’avanguardia». Meis si dice ottimista, e il suo stato d’animo fodera la convinzione che lo stadio si farà nonostante tutti gli ostacoli. Perché, sostiene, «fatta eccezione per i tifosi della Lazio, dovrebbero essere tutti contenti».
E invece. Il terzo architetto, il più famoso, Daniel Libeskind, l’autore delle tre torri su cui si sta giocando il grosso della sfida tra Campidoglio, M5S e società dei costruttori Parnasi, per ora tace. Parlano i suoi colleghi, Meis e Kipar che a Tor Di Valle si è mosso secondo la direttiva «project to protect» ispirandosi all’Allianz Arena del Bayern Monaco, un capolavoro dell’architettura del genere, inserito perfettamente in un paesaggio bucolico: «Progettare con il luogo che c’è: l’acqua del Tevere, l’agricoltura preesistente e il verde da cui nascono un parco fluviale, un parco urbano e un parco a vocazione agricola». L’alternativa è che tutto rimanga com’è: «Nel degrado totale attorno all’ippodromo e nell’incuria degli argini del fiume. Il soprintendente può chiedere quanti vincoli vuole, ma su paesaggio e visuale anche noi avremo qualcosa da dire».