Nell’edizione serale del Tg4 di lunedì 28 marzo 1994, che storicamente non ha mai avuto grandi approfondimenti sportivi e quindi non si è probabilmente occupato della vittoria casalinga per 3-0 della Roma sul Lecce del giorno prima, Emilio Fede annunciò commosso la salita di Silvio Berlusconi alla presidenza del Consiglio dei Ministri. L’ennesimo trionfo di un imprenditore in grado di ottenere successo in qualsiasi campo si mettesse.
Ovviamente penserete che dire “commosso” faccia parte dell’ironia che ha sempre contraddistinto i rapporti tra le due figure. Invece no: è commosso davvero. Gli trema la voce, a tratti gli manca. Si butta in un monologo in cui esalta la vittoria del Cavaliere, a suo dire avvenuta contro gran parte della stampa, gran parte dei mezzi di comunicazione (anche se le reti Fininvest da mesi propinavano veri e propri messaggi elettorali attraverso i propri personaggi e programmi di punta) e l’immancabile schiera di amici e conoscenti recitanti la parte di quelli che ti chiedono chi te lo faccia fare.
Comincia così Aprile, regia di Nanni Moretti, uscito nel 1998. Con lui, che per l’occasione interpreta sé stesso, che guarda questa scena in tv. I fatti poi si svilupperanno effettivamente in aprile, ma nel 1996. Quando Moretti è alle prese con l’imminente nascita del figlio Pietro e un’ardua decisione (che si porta dietro appunto da due anni) da prendere: scrivere un musical oppure un film politico. Il tutto mentre si andava a votare di nuovo. Vennero indette elezioni anticipate a seguito delle vicissitudini giudiziarie che costrinsero Berlusconi a dimettersi. L’intermezzo del governo tecnico di Lamberto Dini era già finito, ugualmente dimissionario. La ruota della storia, anche politica, evidentemente gira sempre alla stessa velocità.
Se il giorno della cessione della proprietà del Milan da parte di Silvio Berlusconi fosse mai dovuto arrivare, non poteva essere che in aprile. Un mese che spesso è stato incosciente protagonista di piccole grandi favole. Tanto che, qualche settimana fa, un riflesso lungo 40 anni è arrivato sul palco del teatro Olimpico di Vicenza. Che proprio nel 1994 diventò Patrimonio dell’umanità dell’Unesco, insieme ad altre grandi opere firmate dall’architetto rinascimentale Andrea Palladio. Sul proscenio, appena prima delle famosissime scene fisse (sono ancora quelle originali progettate da Vincenzo Scamozzi nel 1585), si sono riuniti con i loro tifosi alcuni grandi protagonisti del Vicenza che arrivò secondo in serie A nella stagione 1977/78. Il “Real Vicenza”, quello di Paolo Rossi e della “r” sul petto.
Da quelle parti però vissero anche altre eccezioni, seppur minori. Come quella del Vicenza in Coppa delle Coppe, stagione 1997/98. Esattamente 20 anni più tardi. Vincono la Coppa Italia in finale contro il Napoli l’anno prima, e superano di slancio Legia Varsavia, Shakhtar Donestk e Roda Kerkrade nei primi turni della competizione. Aprile è il mese delle semifinali. Adesso c’è il Chelsea, di cui Gianluca Vialli è allenatore e giocatore. All’andata vincono i biancorossi, 1-0 con gol di Zauli. Il ritorno si gioca a Stamford Bridge il 16 aprile 1998. Il vantaggio arriva quasi subito e lo segna Pasquale Luiso, detto il Toro di Sora. Esulta zittendo tutto lo stadio, con l’indice davanti alla bocca.
In netta controtendenza con quanto faceva l’anno precedente. Quando giocava nel Piacenza e, dopo ogni gol, chiamava i compagni vicino a sé per ballare la Macarena. Il tormentone dell’estate appena conclusa. La cui storia, però, comincia molto prima. In una Spagna che sta iniziando il processo di moderazione del regime franchista, Antonio Romero Monge e Rafael Ruiz Perdigones fondano i Los Del Rio. Siamo a Siviglia, è il 1962. I due fanno musica per una trentina d’anni e, nel marzo 1992, durante un tour in Sudamerica, si trovano nel mezzo di una festa a casa di un ricco imprenditore venezuelano.
Si chiama Gustavo Cisneros, il New York Times non esitava a definirlo “una delle figure latino-americane più potenti”, produttore di diverse telenovelas e proprietario di Venevision, il principale canale tv del Venezuela. Da esperto d’intrattenimento, Cisneros aveva organizzato per gli ospiti (tra cui pare ci fosse anche l’ex Presidente, all’epoca in carica in secondo mandato, Carlos Andres Perez) un’esibizione di flamenco ad opera della ballerina Patricia Cubillan Herrera. Sensualità e bellezza, Romero Monge canticchiò istintivamente un ritornello che a sua insaputa gli avrebbe cambiato l’esistenza. Che poi l’abbia fatto su una melodia che ricordava molto T’ain’t what you do, brano che si fregia dell’interpretazione di Ella Fitzgerald nel lontano 1939, è un altro discorso.
Tutto ciò non basta però a spiegare come mai una boiata simile sia in testa alla classifica dei 100 Greatest One-hit Wonders stilata da VH1 nel 2002. Sembrerà incredibile, ma una mano decisiva gliela diede Pedro Rossellò. Un produttore discografico con le giuste conoscenze? Uno speaker radiofonico particolarmente influente? No: Governatore di Porto Rico, dal 1993 al 2001. Uno che fece anche cose importanti, per esempio riportò l’inglese come lingua ufficiale affiancata allo spagnolo. Il Nuovo Partito Progressista decise che la Macarena sarebbe stata l’inno della campagna elettorale di Rossellò. Così diventò inevitabilmente uno dei souvenir che i turisti portavano a casa dalle loro vacanze a Porto Rico. Che, per capirci, è una delle tappe principali di diverse crociere dei Caraibi.
Non finisce qui. I Los Del Rio pubblicarono il singolo nel 1993, ma i veri responsabili sono altri. I Los Locos, un duo italiano specializzato nel remix di canzoni dai ritmi esotici, che nel 1996 realizza la versione dance e decreta l’invasione del famoso balletto. La colpa di tutto ciò, manco a dirlo, è di due italiani. Per la precisione di Vicenza. Dove Luiso diventò capocannoniere della Coppa delle Coppe (con 8 gol) davanti a Vialli e Zola. Ma furono loro ad alzarla. Perchè lo eliminarono con il loro Chelsea, ribaltando il suo gol e la vittoria dell’andata con un 3-1 che mandava gli inglesi a Stoccolma. Dove batteranno anche lo Stoccarda.
Se la mettiamo sulla musica, la Macarena non può nulla nello stadio che è di Damon Albarn, Dave Gahan e Bryan Adams. Se ne fece una ragione anche Nanni Moretti, che abbandonò l’idea del film politico e inseguì il ricamo di scrivere un musical. Rassicurato anche dall’esito, molto più vicino alle sue ideologie politiche, delle elezioni di aprile. Incosciente protagonista di piccole grandi favole. Come quella che vedeva questa Roma inseguire uno scudetto che, numeri alla mano, non sembrava così impossibile. Il pareggio con l’Atalanta ha però scelto definitivamente a cosa dobbiamo puntare per il finale di stagione. E’ paradossale che sia un pareggio, dopo quasi quattro mesi di sole vittorie in campionato, fatta eccezione per due sconfitte. Si dovranno vincere tutte le partite per ambire a qualcosa di più ogni tanto?