Il 22 agosto (ricorrenza di oggi) è la data simbolicamente riconosciuta per la fine della Guerra delle Due Rose: Lancaster contro York, una faida sanguinosa che deve il suo nome agli stemmi dei due casati. Ovvero due rose, rispettivamente rossa e bianca. E’ vero che è cambiato pure il calcio d’inizio delle partite di calcio, dato che adesso la palla può essere mossa all’indietro (quasi nessuno l’ha sottolineato troppo), ma la nostra rubrica rimane leale verso sé stessa.
Venne così denominata solo nel 1829. Quando Walter Scott, considerato lo scrittore scozzese per antonomasia, pubblicò Anna di Geierstein, in cui si facevano diversi riferimenti agli stemmi dei casati. In realtà, la Guerra delle Due Rose termina nel 1485. Vinta dai Lancaster, se di vittoria si può parlare. Aprendo però le porte all’ascesa dei Tudor, che vedrà succedersi 5 sovrani di origine gallese. Il primo fu Enrico VII: Lancaster da parte di madre, si propose come riferimento per gli yorkisti scontenti e intanto che c’era sposò Elisabetta di York.
Fu lui a vincere la battaglia di Bosworth Field, nei pressi di Ambion Hill, contea di Leicestershire, Midlands orientali. Dove oggi regna Claudio I, casato dei Ranieri, grande romanista. Che per difendere la corona conquistata lo scorso anno deve fare i conti con l’ingresso dirompente di un comandante portoghese, contea di Manchetser (quella della rosa rossa) che da quelle parti e non solo, ha già vinto parecchio. Il suo braccio armato ha carta d’identità svedese ma temperamento bosniaco e croato da dividere in parti eguali. Mourinho e Ibrahimovic sembrano aver già tracciato la scia per il Manchester United. Senza contare Antonio Conte, partito da Lecce con la fame e l’astuzia tipica di noi italiani e pronto a scalare posizioni in ogni maniera possibile. A Chelsea e anche più lontano.
Dovrà guardarsi anche dall’altra faccia di Manchester, dove è arrivato uno spagnolo che si chiama Josep Guardiola ed è troppo sveglio per non continuare a fare molto bene il proprio lavoro. Ha già trovato tutto quello che gli serve nel casato della rosa Blue moon, dall’inno ufficiale del Manchester City. E’ una canzone degli anni ’30 scritta da Richard Rogers e Lorenz Hart, una coppia di autori di origine ebraica nativi di New York molto conosciuti a Broadway, che firmò parecchie opere teatrali e canzoni jazz ritenute tra le più importanti della storia del genere.
Blue moon resiste dal 1956, neanche i fratelli Gallagher si sono sentiti di sporcare questa situazione. Come loro, altri artisti hanno voluto rendere omaggio nel tempo allo storico pezzo. In modi del tutto diversi. “E noi dalla pedana controlliamo, i soliti movimenti aumm aumm, finchè diamo il cambio all’altra orchestra, con la solita Blue moon”, come cantava il Trio Melody nella sua Ma che ne sai… (… se non hai fatto il piano-bar).
Brano scritto da Claudio Mattone, a cui non servì una dose di impegno creativo molto maggiore rispetto a quello che utilizzò per Cacao meravigliao per Renzo Arbore e Beach on the beach per I Trettrè. La pedana quella volta era il palco del Festival di Sanremo 1995. Tra l’altro un Festival, musicalmente parlando, tra i migliori degli ultimi 30 anni. Ma non grazie al Trio Melody. Che pure annoverava tra le proprie fila un grande romanista come Gigi Proietti, un grande artista come Peppino Di Capri e un grande musicista come Stefano Palatresi.
Il Trio Melody che invece sceglie Spalletti per la gara di Oporto è composto da Salah, Dzeko e Perotti. Rimangono in panchina la vena artistica di El Shaarawy e presto ci torna anche quella del fantasista argentino, complice l’espulsione di Vermaelen. Lì la partita cambia ma la tigna che tira fuori la squadra fa si che arrivi un pareggio preziosissimo in vista della gara di ritorno. Nonostante Emerson Palmieri faccia di tutto per riuscire nell’intento contrario.
La Premier League, tornando all’inizio, ha effettivamente concentrato in essa gran parte dell’elite del calcio europeo. Ma a noi interessa il giusto. Anche perché pochi giorni e comincia anche il campionato. La prima faccia che scende sul prato dell’Olimpico è quella di Kevin Strootman, che contro l’Udinese si riprende la Roma con tanto di fascia da capitano. Peccato che l’espressione tipica dell’olandese si veda sui tratti somatici della squadra solo nel secondo tempo. La vittoria è la logica conseguenza della differenza di valori in campo. Ma alla velocità (per modo di dire ovviamente) della prima parte si faticherà con chiunque.
L’impressione avuta in queste2 prime partite, abbastanza confutata dai fatti, è che probabilmente per questa Roma è meglio che Diego Perotti, con o senza il suo “musino” (meglio senza, ma se i risultati sono questi gli lasciamo ampia possibilità di scelta), stia piuttosto stabilmente all’interno del perimetro del rettangolo verde. Il piano-bar si accende solo nel secondo tempo, ma è più che sufficiente. Campionato che si è presentato subito avvincente: gol ed emozioni che appartengono un po’ a tutti tranne che all’Inter di De Boer.
In Spagna Lionel Messi trascina subito il Barcellona sfoggiando un look tricolore, composto su capelli, ricrescita e barba. In cui il giallorosso, tra l’altro, la fa da padrone. I capelli ossigenati rimandano più che altro a una delle mode dell’estate 1998. Quando Vivere a colori la cantava Fiorello e non Alessandra Amoroso. Quando i rigori venivano calciati bene, con forza e nello specchio della porta. Mica come contro l Germania agli Europei. Anche se l’epilogo, purtroppo, era lo stesso. Perchè la traversa dello Stade de France respingeva quello di Di Biagio e le nostre speranze di continuare i Mondiali transalpini. Ci siamo consolati con le imprese di Marco Pantani al Giro d’Italia e al Tour de France, e ascoltando a ripetizione Life is a flower degli Ace Of Base. Può sembrare poco, ma in fondo non era così. “Ma che ne sai, se non hai fatto il piano-bar”. Che ne sai?