Rispetto alla partita dell’andata, Roma e Verona hanno presentato due formazioni rivoluzionate in partenza, con soli cinque giocatori al via al ritorno che sono scesi in campo dall’inizio anche nella gara d’andata. Verrebbe da pensare che i sei sfuggiti a Baroni (Hien, Terracciano, Hongla, Duda, Doig e Ngonge) valgano di più dei sei non titolari nella lista di partenza della Roma (Mancini, Smalling, Kristensen, Cristante, Zalewski e Belotti) anche se per Baroni sono state perdite strutturali (fruttuose cessioni) e per De Rossi perlopiù spiacevoli contrattempi.
Il cambio più vistoso è stato però quello della panchina, con l’avvicendamento Ddr-Mou, ognuno con il suo carico personale da mettere dentro la partita. Tanto per mettere in chiaro un concetto, anticipiamo ai lettori di questa rubrica che proveremo in ogni modo a resistere alla tentazione di giudicare uno in rapporto all’altro. Paragonare De Rossi a Mourinho oggi è mortificante per Daniele anche se tutti ci auguriamo che tra trent’anni il confronto tra i due curricula sarà possibile. E in ogni caso abbiamo visto sin troppo calcio da sapere che ogni contesto è diverso da un altro.
Per dire, la Roma ha costruito di più con il Verona nella partita d’andata e ha subito assai meno gli attacchi dei gialloblù eppure in quel caldissimo 26 agosto la spuntò Baroni, al termine di una delle partite che maggiormente è costata a Mourinho in termini di valutazioni di classifica. Abbiamo messo a confronto i numeri: 9 tiri fatti domenica (di cui 2 in porta) contro 23 all’andata (di cui 7 in porta), 12 tiri subiti (di cui 3 in porta) contro i 5 di agosto, 62% di possesso palla contro 72%, 2 calci d’angolo a 12 e 17 occasioni da gol certificati dalla Lega Serie A contro 7. Quel giorno la Roma giocò particolarmente bene e fu molto sfortunata nell’esito finale.
Cerchiamo adesso di capire però quale sia la proposta di gioco di Daniele De Rossi perché i primi sessanta minuti di gioco sono stati più che sufficienti per intravedere i concetti di base. La partenza è ovviamente la difesa a 4 che garantisce il vantaggio di un’impostazione più snella (con Paredes o uno dei due esterni che possono restare in linea con i due centrali per garantire massima ampiezza alla prima rifinitura e a volte lascia la sensazione in fase di non possesso di non riempire abbastanza l’area sulle iniziative avversarie.
Nel calcio più offensivo di oggi, con molte squadre che portano tanti giocatori nella fase di finalizzazione nell’area di rigore può essere rischioso difendere a 4 se non si hanno centrocampisti pronti ad inserirsi in area nei meccanismi di protezione o esterni poco disposti a seguire gli avversari nelle lunghe aree di ripiegamento. E la Roma, ad esempio, dal lato di Dybala rischia di rimanere un po’ scoperta, nonostante la buona volontà dell’argentino a schermare almeno le linee di passaggio sul terzino sinistro del Verona Cabal quando impostavano i centrali.
Un altro aspetto continuativamente ricercato era la verticalizzazione bassa dai difensori a Lukaku o degli esterni da fuori a dentro il campo con immediato movimento a mezzaluna dei giocatori in zona palla per riprendere l’immediato scarico e allargarlo sui terzini o su nuove combinazioni nello stretto. Questo movimento assai ricercato ha liberato molte volte l’uomo a rimorchio con spazi liberi da rioccupare.
Così sono nate le diverse occasioni che hanno stupito molti tifosi, pronti a chiedersi come mai giocatori apparsi nello stretto passato mosci e privi di fantasia abbiano avuto una tale creatività. La questione invece è semplice: ci sono piccoli movimenti, studiate rotazioni, stimolate sovrapposizioni che ove opportunamente addestrate garantiscono continue soluzioni. Non garantiscono però le vittorie ed è questo il motivo per cui Mourinho non ci crede tantissimo e preferisce evidentemente allenare maggiormente altri aspetti.
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FONTE: Il Romanista – L. Lo Monaco