«Dove c’è business non c’è poesia» ha detto Carlo Verdone a “Non è la radio” dopo aver toccato il tema della passione per la Roma e segnalato la preoccupazione per l’eventuale cessione di Zaniolo, per il progressivo depauperamento tecnico della squadra («avevamo l’oro in mano e non c’è rimasto niente») e per l’impossibilità di prendersela con qualcuno («chi comanda alla Roma?, tutti e nessuno, sicuramente Pallotta, ma per interposta persona»).
Le considerazioni del regista sono puntuali e centrate. Tutte tranne una, quella sul rapporto tra business e poesia che negli ultimi mesi ha però visto prevalere forzatamente il primo sulla seconda.
A differenza di Verdone, infatti, sono convinto che tanta poesia sopravviva ancora al business e che per quella occorra battersi sempre. Anche il cinema è industria, è business talvolta multimilionario, eppure nessuno si sognerebbe mai di affermare che non c’è poesia in un film, in una commedia, in un corto.
La poesia del calcio si esprime sul campo, non fuori: è la poesia della giocata, del passaggio illuminante, del gol, il verso paradigmatico per eccellenza; è l’attimo di congiunzione tra il calciatore, i compagni e il tifoso. C’è poesia anche nel rimpianto, nella delusione, nella gelosia, nella preoccupazione per la partenza di un idolo e nell’affermazione fatta ieri da Gabriele Gravina nel corso del consiglio federale: ha sottolineato l’importanza del merito, che è l’essenza dello sport, spesso tradito nella vita.
Erano rime baciate quelle di Dybala che hanno illuminato l’ultimo Juve-Inter. C’è poesia nel calciatore che vuole tornare subito a giocare. E nel ricordo di un successo che il lockdown ci ha in qualche modo costretti a recuperare. Il poeta americano di origine serba Charles Simic ha descritto involontariamente ma splendidamente il gol con queste parole: «La poesia: fare una cosa che non esiste, ma che una volta creata sembra sia sempre esistita».
Se Verdone mi autorizza, correggo così il suo pensiero: «Dove c’è business c’è meno poesia, ma c’è, ed è grazie ai campioni che si manifesta».
La poesia è il gioco, è nella partita, per questo non bisogna dare spazio a chi pensa esclusivamente al business, al fatturato, ai conti, ai debiti accumulati per via del virus o a come fare per ridurli trasformando la pandemia in opportunità.
Un buon governo decide per il gioco tenendo in considerazione entrambi gli aspetti: quello che il calcio produce in termini di fatturato e imposte e quello che garantisce sul piano dello spettacolo, del divertimento, delle emozioni, dell’alleggerimento, della disintossicazione. Senza il campo la poesia del calcio non è.
Dove non c’è proprio poesia è nella prevalenza dei conti sofferenti sulla verità del calcio, che è tecnica. Non a caso Verdone conclude l’intervista con queste parole: «Io non sopporto le bugie: i buoni giocatori volevano restare alla Roma, sono stati ceduti per problemi economici. I ragazzi di talento come Zaniolo vanno tenuti a tutti i costi». Perché è dal talento che nasce la poesia. Il business è prosa di pessima fattura.
FONTE: Il Corriere dello Sport – I. Zazzaroni