L’avevano preparato raccontandolo come un altro 26 maggio, come il Derby dei Derby perché non s’era mai giocato un Lazio-Roma alla penultima di campionato, con in palio non soltanto la supremazia cittadina in classifica, ma anche la qualificazione diretta alla Champions League, cioè finanziariamente 50 milioni di euro, campanilisticamente quello che immaginate. Avevano fatto le tabelle da almeno fine marzo, quando la seconda Roma di Garcia si ritrovava soltanto con l’obiettivo di ritrovare se stessa e arrivare seconda, e sembrava sicuro il sorpasso-smacco a favore della Lazio; talmente sicuro che dopo un altro pareggio per 1-1 a Torino (come l’anno prima) e il loro successo sull’Empoli il sorpasso era arrivato, ed era stato festeggiato per un’ora almeno dentro l’Olimpico a suon di canzoni di un Battisti (in particolare I giardini di marzo) che pure non aveva mai seguito il calcio, né mai tifato per nessuno.
Quel sorpasso era durato una settimana ma era evidente che questo secondo posto valesse persino di più dell’enormità di una partecipazione in Champions diretta con i 5 milioni annessi (la Roma ha sempre fatto la Coppa Campioni/Champions League senza passare per i preliminari, la Lazio non ha mai fatto la Coppa dei Campioni). Un traguardo bifronte. Da una parte il più ultramoderno che si possa immaginare, tra conti, bilancio investimenti e finanze. Dall’altro il più antico possibile: Roma contro la Lazio. L’avevano preparato raccontandolo come un altro 26 maggio perché in molti pensavano che la Roma andasse incontro a una sconfitta.
Molti si aspettavano, e molti lo speravano, la mortificazione della Roma, partita per vincere il tricolore e ritrovatasi a inizio marzo con niente da vincere. Tranne questo derby, però. Fino ad allora soprattutto i laziali avevano preso in giro i tifosi giallorossi per «i secondi posti che non sono vittorie» perché il «calcio non è a il gioco delle bocce, non conta andarci vicino» (Lotito); eppure adesso che il secondo posto lo sentivano vicino loro, diventava un traguardo dal valore quasi assoluto.
La stessa cosa valeva per le finali, per i nostri “grazie lo stesso”, per le nostre notti di lacrime e preghiere, per coppe enormi, vere, per troppe volte che l’abbiamo sfiorata veramente, la Coppa (oltre a averne vinte comunque più di loro) che non valevano e basta, ma dopo il 20 maggio e la finale di Coppa Italia persa dalla Lazio con la Juve ai supplementari questi discorsi venivano magicamente dimenticati perché «intanto noi ce semo arrivati».
Ma come? No, non è sfottò, ci sarebbe altra materia per farlo, soprattutto visto il risultato finale che tutti sanno (Yanga Mbiwa). È per raccontare il clima nel quale si è giocato questo derby: Roma spacciata, Lazio superfavorita, Roma già annientata, Lazio comunque ai livelli di Real Madrid e Barcellona, anche se in classifica stava un punto sotto.
È per ricordare lo spostamento di questo derby che dall’estate prima era fissato al 24 maggio, ma che esclusivamente per il desiderio del presidente Claudio Lotito viene rinviato al giorno dopo. Nessun motivo valido, visto che l’eventualità della Juventus in finale di Champions League – e quindi conseguenziale spostamento della finale di Coppa Italia con la Lazio dal 6 giugno al 20 maggio – era già stata contemplata al momento della stesura dei calendari.
Nessun motivo, se non quello di guadagnare un giorno in più, magari per recuperare Biglia (che infatti ha giocato), senza considerare tutti i precedenti che dicevano altro, senza considerare i tifosi che avevano comprato il biglietto e fatto l’abbonamento per quella domenica pomeriggio, senza considerare la pericolosità in ordine alla sicurezza per tutta la città nel giocare la partita delle partite alle 18:00 di lunedì pomeriggio.
Che poi è brutto, brutto e basta, giocare un derby il lunedì alle 18:00. Sarà per tutto questo, per la sicumera laziale dimostrata e quasi ostentata a qualsiasi livello (fioccavano i «non firmerei mai per un pareggio»), che il tifoso della Roma questo derby se l’è covato, coccolato come pochi altri, con le preoccupazioni, le ansie, le insicurezze di qualsiasi altro derby; anzi, se possibile di più, visto quello che valevano questi tre punti, ma con una determinazione, una voglia di prenderselo, di giocarselo come poche altre volte.
Qualcosa di simile al 3-0 di Mazzone, ma molto di più. Anche la Nord a festa e la Sud invece spoglia di coreografia hanno contribuito alla stessa feroce sensazione di badare al sodo. Sarà per questo che la Sud, come raramente le era capitato in passato, ha accompagnato e preso per mano una squadra che pure da gennaio in poi aveva deluso ed era stata contestata.
La Roma in campo ha fatto la stessa cosa. S’è messa lì, s’è messa dietro, niente grilli per la testa, ma tanta tanta consapevolezza. Vecchie favole di formiche e cicale, soltanto che la Roma è Lupa e, a un certo punto, ha fiutato la preda. È uscita prima di rado, poi di tanto in tanto fuori dalla tana, infine ha fatto il cambio per cercare l’affondo, l’aveva covato: dentro Pjanic per Keita, prima Ibarbo per Totti, allora Pjanic libera con un colpo di tacco la corsa di Nainggolan per l’assist di Ibarbo a Iturbe. Gol. Gol. Gol. Gol. Goooool. Se possibile di più. L’urlo di Juan Manuel Iturbe che si spoglia alle stelle della maglietta per la voglia di strapparsi la pelle è quello di ogni romanista. Si perdono le corde vocali e le scarpe in Curva. È il 73’.
La Roma è in vantaggio. A quel punto – riguardatelo, risentitelo, in rete è pieno di video – la Curva Sud è impressionante e ammutolisce definitivamente tutto il resto dello stadio con un coro provato nel derby Primavera: «Forza grande Roma / Forza Roma alè / Non mollare mai / Lotta e vinci insieme a noi…». Con battimani da far tremare i polsi. È fatta, pensano tutti ma nessuno non lo dice, cavolo è proprio fatta, visto che la Lazio forse faceva paura all’inizio, però era stata pian piano disinnescata col passare dei minuti fino a quello giusto: il 73’ con Iturbe.
Eppure un traversone da sinistra all’altra parte dentro l’area, la torre di Klose per la testa di Djordjevic fa male e fa l’1-1. Ma come? Adesso no. Adesso e mai, no! Ma adesso proprio no. Cavolo, era fatta! E ora, se va bene, speriamo di pareggiarlo il derby. Ora stanno anche ricantando. Adesso sembra finita. (…)
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FONTE: Il Romanista – T. Cagnucci