Era il 22 maggio del 1977, l’ultima di serie A slittava sui campi alle 16:30. A Roma, fuori dall’Olimpico, c’era movimento per la finale femminile degli internazionali, che vincerà l’americana Janet Newberry Wright. Ci sono bibitari e bagarini ma allo stadio per gli appassionati della Roma, quella non è solo la domenica che chiudeva il campionato: in campo, dopo l’incidente, torna Kawasaki, Francesco Rocca.
Rocca, non è giocatore come gli altri, è il miglior terzino italiano, uno dei più forti al mondo. È “esploso” nella stagione 1974/75 e la Roma ha conquistato il terzo posto con vittorie come quelle contro la Juve ed in entrambe le stracittadine. Rocca, irresistibile negli allunghi e nell’anticipo, è la stella di quella squadra.
I tifosi sugli spalti sono tutti per lui, che risponde facendo impazzire la difesa del Bologna. Fu illusione quel giorno ma anche sigillo ad un legame indissolubile, quello che nel 2012 lo porterà nella Hall of fame giallorossa. Per molti lustri, Rocca ha educato i talenti delle nazionali giovanili, dando loro quanto non ha potuto esprimere in una carriera folgorante.
Il 10 ottobre ’76 rimedia un trauma durante Cesena–Roma: il ginocchio duole e si gonfia, e il 16, invece del riposo, va in campo con l’Italia contro il Lussemburgo; il 19, al Tre Fontane l’epilogo e l’uscita a braccia dal campo. Seguirono gli interventi dei grandi dell’ortopedia.
Francesco non supererà l’infortunio, ci vorranno quattro anni per chiudere la carriera e la Roma il 29 agosto 1981 gli dedicherà una partita di “addio“. Sono trascorsi quarant’anni, è bello pensare oggi a Rocca e alla sua voglia di lottare, Mourinho sarebbe impazzito per uno così.
FONTE: Il Corriere dello Sport – U. De Vita