(…) Il papà del nuovo giocatore della Roma si trasferì in Francia a Valence, con il figlio piccolissimo, nato appena un mese e mezzo dopo il grande terremoto che sconvolse Yerevan. Hamlet Mkhitaryan era uno dei più forti calciatori del suo Paese e la squadra, in terza divisione, gliela trovò Jean Djorkaeff, che con la Francia aveva giocato i Mondiali del 1966.
Il legame tra le due dinastie iniziò lì, con la grande comunità armena di Lione sullo sfondo e si rafforzò quando Hamlet morì per un tumore al cervello e la famiglia (Henrikh aveva sette anni) tornò in Armenia, dove Mkhitaryan junior sarebbe diventato il più forte calciatore di sempre tra quelli nati nel suo Paese.
(…) In questa terra dalla quale partivano quasi tutti, Mkhitaryan è rimasto fino ai vent’anni. Ma da tredicenne trascorse quattro mesi in Brasile, in uno stage al San Paolo, dove affinò la propria tecnica, imparò il portoghese (parla sei lingue, tornerà utile con Fonseca alla Roma) e si mise in testa d’essere «mezzo armeno e mezzo brasiliano».
I suoi idoli erano Djorkaeff, Zidane e poi Kakà, mentre la sua patria calcistica (nonostante 84 partite e 27 gol con l’Armenia) è cambiata più volte: prima la gavetta allo Shakthar, poi la consacrazione a Dortmund e quindi United e Arsenal, tra alti e bassi dovuti anche agli infortuni, hanno plasmato un uomo assist che ha ancora anni buoni davanti.
A maggio Mkhitaryan è rimasto a casa dalla finale di Europa League contro il Chelsea perché si giocava a Baku in Azerbaijan, Paese in guerra con l’Armenia per il Nagorno Karabakh. La sicurezza sembrava garantita, ma Henrikh, che ha una madre che lavora ai vertici della Federazione armena e una sorella all’Uefa, non se l’è sentita (…).
FONTE: Il Corriere della Sera