Ogni partita di calcio, soprattutto quelle che terminano in parità, si presta a diverse interpretazioni ed è persino logico che quando a commentarla sono quelli che in qualche modo ne hanno fatto parte l’influenza del punto di vista sia determinante del giudizio finale, così può capitare che Mancini nel commentare Roma-Napoli esageri in un verso, e cioè nel sostenere che la Roma non abbia mai sofferto, e Conte nell’altro, quando arriva a sostenere che il giocatore della Roma ha visto un’altra partita.
No, la partita è la stessa e, come al solito, per poterne decifrare tutti gli aspetti e ricavarne un giudizio che sia il più possibile oggettivo, non ci si può sottrarre a una prassi che raccomandiamo sempre: la visione live direttamente allo stadio, successivamente la “revisione” televisiva e infine il supporto dei dati. Da questa combinazione quasi sempre si riesce ad avere un’idea più chiara di quello che è avvenuto e nello specifico della partita di domenica sera non si può che arrivare alla conclusione che il risultato di Roma-Napoli sia stato il più aderente a ciò che si è visto in campo.
Le due squadre si sono divise equamente gli spazi nei due tempi di gioco (molto meglio il Napoli nel dominio territoriale e nel possesso palla, come testimoniano anche i dati del baricentro, decisamente più efficace la Roma nella ripresa, e lo attestano ancora i numeri completamente ribaltati rispetto al primo, a prescindere dal suggello della rete finale di Angeliño). (…)
Conte dà però l’impressione di non credere fino in fondo alla tenuta e al vestito offensivo della sua squadra quando nella ripresa chiede come già accaduto altre volte di abbassare il baricentro e pensare soprattutto a non prendere gol. C’è un dato che indubbiamente confortava la strategia: nelle 14 precedenti esperienze in cui il Napoli era andato in vantaggio, per ben 13 volte aveva ottenuto alla fine la vittoria e in un caso aveva pareggiato. Da domenica sono due. Morale: il Napoli di Conte, quando esprime gioco offensivo, è una bella macchina da guerra anche se piuttosto limitato nelle scelte, almeno in alcuni reparti.
Quanto alla Roma resta evidente soprattutto una problematica: il cammino casalingo, grazie all’apporto ormai quasi fisico del pubblico, è da big del calcio continentale. Dove la Roma deve molto migliorare nell’interpretazione tattica delle partite è quando esce dall’Olimpico e non può essere solo una questione legata alla famosa torta della nonna e al conforto – più estensivamente – che i giocatori sentono quando restano tra le mura amiche. Spinazzola e Lukaku, ora che li allena Conte, sono gli stessi giocatori che l’anno scorso magari si impaurivano in trasferta con Mourinho.
È logico che c’è qualcosa di diverso, allora, se con Conte non hanno lo stesso atteggiamento. Probabilmente è solo una questione di conoscenze tattiche che gli allenatori hanno il dovere di impartire, ma ovviamente hanno bisogno di tempo per poterlo fare. Ranieri ne ha avuto pochissimo fino a oggi e questo è un limite che non dipende da lui, ma da circostanze oggettive.
Ora, però, è il momento di cambiare atteggiamento. Nelle prossime quattro partite, la Roma sarà chiamata a mantenere la propria presenza nelle tre competizioni giocando altrettante gare in trasferta contro Milan, Venezia, Porto e Parma, in undici giorni. Si avrà la possibilità di mantenere il posto in Coppa Italia e in Europa League e si dovrà necessariamente accorciare la distanza con chi precede in classifica dopo il disastroso inizio di stagione.
Questo è il momento della svolta ed è bene che Ranieri lo chiarisca ai suoi giocatori. La risposta del gruppo, tra Roma A e Roma B, è stata grande. E la difesa a 4 potrebbe essere quello stimolo tattico in più utile a liberare le potenzialità a volte represse di alcuni giocatori. Il Milan è un invito a farlo: non a caso la partita più bella di De Rossi, il suo capolavoro tattico, è stato forse la gara d’andata nei quarti di Europa League dello scorso anno con un 442 che ha bloccato ogni iniziativa dei rossoneri di Pioli.
Non è cambiato molto da allora. Resta sempre l’incognita legata a Paulo Dybala. Nel 433 non gli si può chiedere di correre dietro ai terzini ed è bene dunque che giochi accanto a Dovbyk, dovendosi occupare in fase di non possesso al massimo di un centrale avversari. Per questo è consigliabile giocare con il 352 o con un più razionale 442. E mancando Mancini la strada sembra obbligata. A meno che Ranieri non se ne inventi un’altra delle sue.
FONTE: Il Romanista – D. Lo Monaco