Le parole di Ranieri mettono a nudo verità inconfutabili che il tifoso magari fatica a digerire, o si rifiuta di farlo anche se gli vengono spiegate in modo semplice, come fatto ieri dal tecnico giallorosso che non può certo definirsi un algido ragioniere, insensibile agli aspetti romantici del calcio. Proprio lui che da giocatore prima, da allenatore di lungo corso poi, ha conosciuto paradigmi del calcio molto diversi dagli attuali e tirato i primi calci nell’era romantica dei presidenti-tifosi.
Ranieri ha detto il vero. E pazienza se l’onestà intellettuale che lo contraddistingue non gli consente di edulcorare anche un’evidenza poco gradevole agli stessi azionisti americani (che ne sono senz’altro consapevoli) cioè di avere impiegato male, fin qui, la montagna di soldi spesi. Un billion (cioè un miliardo) ha detto Ranieri e la cifra spesa dai Friedkin non è lontana da questa cifra: prima per acquisire la Roma, dopo per coprire le perdite ingenti di una gestione che ha sempre consumato risorse a causa di una struttura di costi strutturalmente sproporzionata rispetto al monte ricavi. Ora la Roma non può spendere sul mercato: non perché i suoi azionisti non vogliano, ma semplicemente per le regole del Fair Play Finanziario.
I requisiti per ottenere le licenze internazionali sono due: perdite economiche inferiori a 60 milioni nel triennio e un costo complessivo per la rosa (stipendi più ammortamenti) inferiore all’80% dei ricavi. Per ora la Roma è fuori, non di poco, dal primo avendo già realizzato perdite nette per 183 milioni in due anni e non essendo immaginabile che la stagione attuale possa chiudersi in utile.
Dovrà scalare una montagna, tra questa e la prossima. Rispetto al secondo parametro (squad cost ratio) si è portata gradualmente entro il limite consentito ma non può, logicamente, sforarlo. Ha ottenuto un settlement agreement che sarà messo a consuntivo nel 2026 e che potrebbe comportare, se violato, sanzioni molto gravi. Fino alla possibile esclusione dalle coppe: un esito che avrebbe conseguenze tragiche per il futuro del club.
Peraltro la versione di Ranieri, nella sua lodevole chiarezza, contiene un’imprecisione certamente perdonabile a chi s’intende egregiamente di pallone più che di numeri: dicendo che la Roma potrebbe acquistare cartellini ma non aumentare il monte ingaggi, non tiene conto del fatto che l’intero costo della rosa pesa sui parametri del Fair Play Finanziario. Quindi anche l’acquisto dei cartellini, attraverso gli ammortamenti. Non a caso, il club ha fatto recentemente uso (come altri) di prestiti.
La presenza di un azionista ricco non è sufficiente a finanziare operazioni di mercato perché le regole del calcio attuale non consentono di sostenere la competitività del club con interventi massicci dell’azionista. Solo espandendo il bacino dei ricavi ci si può permettere costi più elevati per acquis tare e tenere a libro paga i giocatori.
Naturalmente i tifosi hanno il diritto di arrabbiarsi, perfino di invocare nuovi azionisti. Serve però qualcuno in grado di coprire le perdite di gestione, anzitutto, come hanno fatto i Friedkin avendo ereditato una situazione fuori controllo. Poi servono idee, capacità di elevare il profilo del club per aumentarne i ricavi. In questa strategia, lo stadio è elemento essenziale e dunque occorre una proprietà in grado di sostenerne lo sforzo. L’attuale azionista della Roma risponde pienamente a questo identikit ma ha bisogno di tempo perché, per dirla con Ranieri, Roma non è stata fatta in una notte.
FONTE: Il Corriere dello Sport – A. F. Giudice