Dall’acquisizione del club giallorosso i Friedkin hanno investito oltre 800 milioni di euro sulla Roma: circa 200 per l’acquisto da Pallotta e il resto in ricapitalizzazioni che non potranno continuare a lungo. Analizzando la situazione finanziaria della Roma e le prescrizioni legate al nuovo regolamento di stabilità dell’UEFA, il problema del club giallorosso continua a risiedere sul valore del fatturato e i relativi ricavi.
I ricavi operativi nell’ultimo triennio non hanno mai superato quota 200 milioni (192 nel 2022) e quest’anno dovrebbero essere leggermente superiori. Per qualsiasi club il livello dei ricavi operativi è il limite invalicabile della spesa, un limite che la Roma supera abbondantemente da sempre, tanto da aver conseguito perdite per circa 600 milioni negli ultimi tre anni, a cui i Friedkin hanno posto un freno ricapitalizzando.
Il Fair Play Finanziario ora fissa paletti precisi e la Roma è tra i club che hanno stipulato con l’UEFA il settlement agreement, cioè l’impegno a rientrare nei limiti. Questo significa che i costi della rosa (stipendi + ammortamenti), non possono superare il 90% dei ricavi e dovranno scendere al 70% nel 2026.
Nel caso della Roma, tra stipendi dei tesserati (155 milioni nel 2022) e ammortamenti dei cartellini (77 milioni nel 2022), siamo al 112%. Se i ricavi restano sui livelli attuali, il club dovrà abbassare monte stipendi a ammortamenti di oltre 80 milioni. In mancanza di una crescita robusta e veloce dei ricavi, sognare acquisti non è possibile. Restano prestiti e giocatori a titolo gratuito, oppure uno scouting in grado di scovare talenti a basso costo da poter valorizzare. Le strade dunque sono l’aumento dei ricavi operativi, con strategie commerciali da dover migliorare ed eventualmente il player trading, quindi la valorizzazione e la cessione di calciatori che alimenti le finanze del club. Poi c’è la Champions che rappresenta in termini di ricavi un differenziale fondamentale per i club italiani, non solo per la Roma.
In questo quadro economico è inutile invocare interventi della proprietà o soldi “da cacciare” (come spesso si dice) perché nessuna proprietà – per quanto facoltosa e appassionata – può finanziare campagne acquisti la cui copertura deve arrivare dai ricavi, oggi del tutto insufficienti. Semmai è giusto invocare una politica diversa a livello commerciale su cui la proprietà è auspicabile riesca a trovare delle strade per alimentare i ricavi del club.
FONTE: Il Corriere dello Sport
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