Luciano Spalletti ha un percorso anomalo per il calcio italiano. La sua carriera da giocatore è stata quella di un onesto pedalatore di provincia e anche quella da allenatore è stata altalenante, impreziosita se vogliamo dai 2 titoli nazionali conquistati in Russia con lo Zenit, esperienza terminata però con l’esonero. Ciò che lo ha portato in alto nel ranking dei coach non sono stati i risultati ma il gioco, innovativo nelle sue dinamiche, che seppe dare alla Roma una decina di anni fa e al ruolo che disegnò per Francesco Totti, messo al centro dell’attacco come 9 atipico. Nelle sue stagioni toscane nella curva dell’Empoli campeggiava uno striscione che recitava così: “Sacchi più Zeman uguale Spalletti“. Uno slogan quasi profetico. Infatti nel 4-2-3-1 della sua prima Roma c’erano dentro i principi della zona di Sacchi, gli attacchi allo spazio di Zeman e… la fantasia di Totti. «Avvicinare Francesco all’area di rigore è come mettere la volpe vicina al pollaio, trova sempre lo spazio per inventare qualcosa» disse il tecnico di Certaldo. Trovare lo spazio e l’ossessione di Spalletti. Il suo concetto di gioco: non dare punti di riferimento, liberare e occupare spazi, attaccarli se possibile in verticale.
ATTACCARE LA PROFONDITA’ – Il ragionamento spallettiano è semplice: «Nell’evoluzione del calcio i gol fatti sono aumentati perché gli attaccanti hanno capito come attaccare la profondità». I suoi schemi prevedono, quindi, sempre degli smarcamenti sul “lungo” degli esterni per conquistare metri alle spalle dei difensori con la ricerca del timing rispetto al compagno che calcia per evitare l’offside. Al contrario nella fase difensiva i giocatori devono leggere la situazione di gioco. Se la squadra morde l’avversario con aggressività la difesa deve accorciare gli spazi in avanti. Se, invece, il pressing non è intenso e lascia il tempo per effettuare il passaggio è meglio abbassarsi a ridurre lo spazio tra difesa e portiere. Se questo spazio è poco l’avversario avrà più difficoltà a trovare l’imbucato giusta.
LE PALLE PERSE – Ma il vero terrore di Spalletti è di perdere palla in fase di costruzione del gioco. «Il momento di massimo timore è quando la palla l’abbiamo noi», quando cioè la squadra è aperta con le distanze dilatate tra i giocatori per favorire i passaggi. Da qui la necessità di allenare la capacità di gestire le transizioni negative. I suoi devono riuscire a partecipare al gioco ma anche essere pronti a coprire nel caso la palla venga persa. Il tecnico giallorosso lavora, a video prima e in campo poi, per creare quella continuità mentale e comportamentale necessaria per gestire queste situazioni. I suoi giocatori devono interpretare preventivamente ciò che sta per accadere, essendo in grado di decodificare anche la “creatività” degli altri.
CORAGGIO NEI DUELLI – Un ultimo aspetto di tattica difensiva che Spalletti cura molto in allenamento è l’intensità nei duelli per togliere un tempo di giocata all’avversario. Nel post-partita della gara con l’Inter ha sui troppi cross subiti e firmati Candreva: “Essere a un metro o stare a cinque fa la differenza, così come affrontare l’avversario o girarsi di schiena al momento del calcio“. Se poi si prende gol la colpa non è dei difensori centrali ma dell’esterno che non accorcia con convinzione. Servono coraggio e aggressività, come sulla riconquista delle seconde palle, per impedire di far mettere al mediano avversario la palla con facilità sopra la linea difensiva.