Lo scontro Raggi–Berdini sullo stadio della Roma ha un motivo preciso. Anzi, un volume esatto: 550 mila metri cubi di cemento. La cifra rappresenta la differenza tra la trattativa morbida imbastita nella Conferenza dei servizi dal Campidoglio con i soggetti proponenti dell’opera (Parnasi e la Roma) e l’intransigenza dell’assessore all’Urbanistica che, per questo ma non solo, rischia di saltare prima di gennaio. Adesso i nervi sono a fior di pelle, le dimissioni aleggiano da lunedì tanto che già girano i nomi di eventuali sostituti (Emanuele Montini è il primo). E ieri Berdini non si è nemmeno presentato in Commissione, per dire. E’ gelo. Il grande freddo ha una radice tecnica: il progetto originale approvato dalla giunta Marino prevede volumi per un milione di metri cubi tra stadio e opere collegate, tra cui i tre super grattacieli del business park progettati dall’archistar Daniel Libeskind. Per Berdini non si può fare, troppo cemento e troppo business per i costruttori privati. E soprattutto l’assessore, che non ha deleghe speciali ma partecipa al tavolo insieme agli altri membri di giunta con competenze nell’area, ribadisce il suo motto: «Opere pubbliche con soldi pubblici». Così la controproposta è stata di «250 mila metri cubi», rivela Berdini. Praticamente solo lo stadio, non un metro cubo di cemento in più, anche se questo significherebbe rinunciare a 440 milioni di euro «privati» e, soprattutto, tirare una riga sul progetto originale per ripartire da capo con lo studio dell’area. Eventualità che il Campidoglio non è nelle condizioni né politiche né economiche di sostenere per il rischio (nel caso, sarebbe una certezza) di una maxi-causa per il risarcimento dei danni.
Lo choc, insomma, è stato forte per tutti i protagonisti del tavolo interistituzionale. Ma soprattutto per Raggi e il vice sindaco Daniele Frongia che, dopo il nullaosta arrivato da Beppe Grillo, avevano aperto all’offerta Roma-Parnasi di una sforbiciata alle cubature fino a 800 mila metri cubi con rilancio del verde (10 mila alberi: secondo polmone della Capitale). Piccole modifiche, insomma, che rappresentano una soglia sulla quale poter iniziare una discutere nel merito in vista del completamento dell’iter amministrativo: il 6 febbraio termina (virtualmente) la Conferenza dei servizi e all’ultimo giro di tavolo il progetto dovrà allegare la variante urbanistica approvata in Consiglio comunale. Ma perché questa apertura, per altro «suggerita» da Milano, ai tanto odiati palazzinari romani? Eppure la posizione di Berdini ricorda, per non dire ricalca, quella dei Cinque Stelle della prima ora. Anzi, del prima Campidoglio. E’ che adesso emerge una nuova necessità in prospettiva delle elezioni politiche con la quale il diktat di Berdini non è più compatibile. Ora tocca emancipare il Movimento dalla regola del No che ha innescato la bocciatura del progetto Roma 2024, per portare (finalmente) qualche risultato a casa. E lo stadio della Roma ha tutte le coordinate di un bingo sicuro. C’è il ritorno elettorale visto che farebbe felice una bella porzione, quella romanista, della città. E soprattutto c’è il costo zero per il Campidoglio che, con piano di rientro dal maxidebito e un Patto per Roma congelati per la crisi di governo, economicamente non naviga in acque tranquille.