Da Pescara a Liverpool esiste una distanza in linea d’aria di circa 1760 chilometri. Poi, se si decide di partire con un mezzo proprio su quattro ruote, il percorso diventa più lungo e si estende oltre ai duemila km. Da Pescara a Liverpool però c’è anche un anno trascorso, quantificabile in 365 giorni. Dal 24 aprile 2017 al 24 aprile 2018. Da una Roma che stava per affrontare il Pescara di Zeman all’Adriatico per mantenere il secondo posto e accedere direttamente all’Europa che conta, a una Roma in semifinale di andata di Champions League impegnata nel tempio del calcio di Anfield Road per giocarsi la finalissima nella competizione più prestigiosa. Da Pescara a Liverpool è soprattutto un anno sotto la direzione sportiva di Ramon Rodriguez Verdejo, conosciuto meglio come Monchi.
Il dirigente arrivato dal Siviglia dopo tanti successi europei, che ha deciso di legarsi alla società di Pallotta per quattro anni. Inizia tutto così. Il 24 aprile 2017 è una giornata di calda primavera nella Capitale. Nella tarda mattinata, intorno alle 13.30, il manager sbarca a Fiumicino dove ad accoglierlo c’è il direttore generale Mauro Baldissoni. Lo spagnolo è in abiti sportivi: jeans, camicia celeste e giacca blu. Porta uno zaino sulla spalla ed è accompagnato da una valigia di grandi dimensioni. Barba lunga e curata, sorridente e volto rilassato al termine di un viaggio di un paio di ore con un volo proveniente da Barcellona. È un momento importante per la vita del club, una svolta a livello di immagine e di gestione societaria. Monchi vuole portare alla Roma il metodo di lavoro che gli ha dato soddisfazioni altrove. Quello che a Siviglia lo aveva portato sul tetto di Europa (con 5 Coppa UEFA/Europa League vinte) scoprendo calciatori di qualità come Dani Alves, Rakitic, Bacca. “Generando plusvalenze, si creano utili e si dà al club la possibilità di vivere al di sopra delle proprie possibilità”, è il manifesto dell’idea che porta avanti. Nel proprio staff si contorna di collaboratori che visionano partite di ogni campionato, relazionando continuamente sui talenti più interessanti.
Si avvale di statistiche per capirne il rendimento in campo, ma dà importanza anche alle qualità morali dell’uomo: “Il contatto umano è l’unico modo per ridurre il rischio di commettere errori”. Ma non basta essere solo bravi scout per essere considerati un DS di livello. Il rapporto con l’allenatore è fondamentale nella sua visione. “Il direttore sportivo deve essere uno strumento nelle mani del tecnico: se ti chiede un tavolino e gli porti una lampada, il fallimento sarà assicurato”, è il mantra che ripete spesso nelle esternazioni pubbliche. Poteva andare ad operare anche in contesti più prestigiosi, però lui sceglie la Roma. Il presidente Pallotta è stregato dalle qualità del cinquantenne nato a San Fernando in Andalusia e fa di tutto per portarlo dalla propria parte. Ed è la prima cosa che sottolinea Monchi quando rilascia l’intervista di benvenuto ad asroma.com: “Sono molto contento, molto soddisfatto, molto motivato e molto grato per l’interesse che il club ha mostrato nei miei confronti, e questa, forse, è per me la cosa più importante: sentirmi amato. Ho grande voglia di iniziare a lavorare”. Amore, parola chiave per lui. Citando Eastwood in “Per un pugno di dollari” quando urlava a Volontè: “Al cuore, Ramon, colpisci al cuore…”. L’affetto della famiglia e il rispetto dei valori cattolici sono una parte fondamentale della sua vita. Senza un cuore pulsante non ci può essere Monchi. Lo sa anche Pallotta.
E a proposito del presidente, Ramon racconta: “Dal primo giorno c’è stato un ottimo feeling con Jim, che mi ha trasmesso l’ambizione di realizzare un progetto importante”. L’obiettivo? “Darò il meglio di me per permettere alla Roma di essere il più in alto possibile. Non riposerò neanche un secondo per raggiungere i traguardi che tutti abbiamo in mente”. Detto, fatto. Dopo aver messo piede al “Leonardo da Vinci”, si dirige a Trigoria per una visita al centro sportivo “Fulvio Bernardini”. Pranzo con i nuovi colleghi e di nuovo in macchina. Stavolta in direzione Pescara dove la Roma gioca il posticipo della trentatreesima giornata contro la formazione abruzzese. Monchi entra in punta di piedi nello spogliatoio, ma fa intendere subito al gruppo un altro comandamento del metodo. Ovvero, curare in prima persona i rapporti con i ragazzi della rosa. Cerca di continuo il contatto diretto, per capire cosa va e cosa non va. Ogni momento è utile per comprendere dettagli della vita di ogni elemento dello spogliatoio. Prima della gara con i biancoazzurri, saluta in campo De Rossi e Nainggolan e qualche altro che era andato a visionare il terreno di gioco. L’impatto è positivo e la Roma vince 4-1 con i gol di Strootman, Nainggolan e doppietta di Salah. Già, Salah. Quello che ora è dall’altra parte e a distanza di un anno esatto da quel giorno a Pescara difenderà i colori del Liverpool contro la Roma. Ma questo ormai è noto. Nel frattempo, la squadra giallorossa sotto la guida sportiva di Monchi ha giocato 50 partite tra Serie A e coppe ottenendo 29 vittorie, 9 pareggi e 12 sconfitte. Numeri freddi, che vengono surriscaldati da un verdetto inequivocabile: la Roma è in semifinale di Champions League, tra le prime quattro d’Europa. Lì, dove era arrivata solo una volta nel 1984. Non solo, non otteneva una semifinale europea da ventisette anni (Coppa UEFA 1990-1991, con il Brondby). Chissà se 365 giorni fa Ramon aveva immaginato tutto questo. Da Pescara a Liverpool, con in mezzo Roma-Barcellona 3-0: “Dopo quella vittoria ho capito cosa significa essere romanisti”. Un anno di Monchi è passato così. “Al cuore, Ramon”.