All’inizio, in piena bufera mediatica, in Campidoglio erano tutti sicuri: «Archiviato l’abuso d’ufficio — lo dicevano i consiglieri 5S nei post e a favor di telecamere e taccuini — la sindaca è salva. Andiamo avanti». Oggi nessuno si sbilancia più sul processo per falso sul caso Marra. Dopodomani Virginia Raggi, dopo le due visite in procura da testimone a cavallo del fine settimana per l’inchiesta sullo stadio della Roma, tornerà a piazzale Clodio. In aula, da imputata. Senza il supporto dei big grillini, che ieri hanno minato la diga politica eretta a protezione della prima cittadina. Le dichiarazioni dell’inquilina di palazzo Senatorio ai pm («A presentarmi l’avvocato Lanzalone sono stati gli ex responsabili degli enti locali del M5S, Fraccaro e Bonafede») hanno convinto il vicepremier Luigi Di Maio e lo stesso Bonafede, ministro della Giustizia del governo pentaleghista, a farsi avanti pubblicamente. E a prendere con fermezza le distanze dal caos capitolino e dal legale genovese sbarcato a Roma per aiutare Raggi sui dossier più importanti e poi nominato presidente di Acea.
«Il primo a essere scontento sono io», ha spiegato ieri Di Maio all’Huffington Post. Chiaro il riferimento all’inchiesta su Tor di Valle. Tanto quanto la versione sulle responsabilità del M5S: «È assurdo che il Movimento sia sotto attacco quando sono stati arrestati un ex esponente Pd della giunta regionale di sinistra, Civita, e uno di Forza Italia, Palozzi. Noi siamo stati gli unici che in questa storia non hanno preso soldi». Quindi il passaggio sulla sindaca. Nell’intervista, il leader 5S mette ordine nella storia professionale di Lanzalone, il legale capace di scalare il Campidoglio nel giro di un anno per poi finire nelle grazie dello stesso Di Maio e di Casaleggio. Il vicepremier spiega che «Raggi ha individuato Lanzalone come presidente di Acea». Che a consigliare il suo nome alla prima cittadina sono stati Fraccaro e Bonafede: «Le hanno semplicemente suggerito uno che si era dimostrato in grado di maneggiare situazioni amministrative complicate». Poi l’ammissione: «Io a inizio dell’anno scorso mi sono un po’ allontanato nel seguire le vicende di Roma». Il tempo di una breve difesa («Chiedono le dimissioni della Raggi quando la stessa procura ha detto che non c’entra nulla? Ma di cosa stiamo parlando?») e poi la pietra tombale sulla sindaca. Se sarà condannata per falso, «c’è il codice di comportamento. Lo conosciamo bene». Così come i 28 consiglieri capitolini. Sono per la maggior parte al secondo mandato, rischiano di chiudere la loro breve carriera politica prima del previsto e mettendo in curriculum due anni di sole tensioni. Per questo un gruppo di eletti nelle ultime ore si è messo in moto per vagliare tutte le opzioni. Anche quelle di un clamoroso addio anticipato: «Alcuni hanno contattato i parlamentari romani — racconta un’autorevole fonte del Campidoglio — e vorrebbero mollare. Vogliono far cadere la sindaca».
Isolata, con il peso di aver appena perso due municipi alle elezioni del 10 giugno, provata dal continuo andirivieni tra Comune e procura, a Virginia Raggi resta solo una carta. Chiedere alla giunta tutto il supporto possibile e saldare le fratture della sua maggioranza nella riunione di oggi. Un vertice che dovrà dare ai pentastellati una risposta pure sul caso di Paolo Ferrara, il capogruppo che si è autosospeso dopo essere stato indagato per il caso dello Stadio della Roma.
L’allontanamento, spontaneo, per Di Maio è la prova che il M5S ha «gli anticorpi» per affrontare «i problemi delle persone che sbagliano». Poi c’è la sindaca. I collaboratori dicono sia «tranquilla». Ma il passato incombe: ha già dovuto chiedere scusa dopo l’arresto del suo ex braccio destro, Raffaele Marra. Il Movimento, riunito all’hotel Forum e a un click dal post di scomunica, la perdonò. Se arriverà la condanna per falso — la sentenza è attesa al massimo entro l’autunno — non ci sarà la stessa clemenza.