Ha scelto di parlare il costruttore Luca Parnasi, arrestato il 13 giugno scorso con l’accusa di essere il capo di un’associazione a delinquere che finanziava i politici in cambio di “ benevolenza” per il progetto dello stadio della Roma. E ieri, intorno alle 16, i magistrati sono andati a Rebibbia per sentire ciò che il costruttore aveva da dire. L’atto istruttorio, durato quasi sei ore, si è concluso in serata per riprendere questa mattina.
Un cambio di strategia che arriva dopo due settimane dietro le sbarre: durante l’interrogatorio di garanzia, davanti al gip, l’imprenditore aveva infatti preferito avvalersi della facoltà di non rispondere. Ma da qualche giorno, la linea difensiva è cambiata.
Provato dalla detenzione e, soprattutto, in pena per la situazione economica delle sue aziende ( nei giorni scorsi si era dimesso da ogni ruolo), Parnasi ha affidato ai suoi avvocati, Emilio Ricci e Giorgio Tamburrino, il messaggio da recapitare al procuratore aggiunto Paolo Ielo e al pubblico ministero Barbara Zuin che hanno coordinato le indagini dei carabinieri del nucleo investigativo di Roma: « Voglio essere sentito, voglio parlare».
Gli episodi che gli inquirenti gli contestano sono moltissimi, probabilmente per questo l’interrogatorio è durato ore ( e non sarà l’unico). Finanziamenti ai politici di ogni partito e non solo: tra gli indagati dell’inchiesta, accusati di avere ricevuto utilità da Parnasi, ci sono nomi illustri. Dall’ex presidente Acea, Luca Lanzalone, al capogruppo del M5S in Campidoglio, Paolo Ferrara, passando per l’ex assessore alla Mobilità della Regione Lazio, Michele Civita e per il vicepresidente del Consiglio Regionale, Adriano Palozzi. Non sono i soli: Parnasi e i suoi collaboratori avevano contatti con la politica ad ogni livello, agli atti risultano anche finanziamenti a una fondazione riconducibile alla Lega. D’altronde era lui stesso a dire: «Pago tutti».