Undici ore per ammettere e fornire ai pm i contorni dell’affaire stadio che le intercettazioni e le indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo avevano soltanto in parte svelato. Dopo cinque ore di interrogatorio mercoledì, ieri, Luca Parnasi ne ha trascorse altre sei davanti al pm Barbara Zuin, firmando un lunghissimo verbale che non solo conferma l’impianto dell’accusa ma, soprattutto, apre altri fronti di indagine che lambiscono la politica. La prima reazione pubblica alla confessione di Parnasi, così come era avvenuto al momento dell’arresto, è quella di Matteo Salvini, che non si definisce preoccupato e, a proposito dei finanziamenti ai partiti da parte di Parnasi, commenta: «Se ci sono imprenditori che lo fanno in maniera trasparente e mettendolo a bilancio, non vedo dove sia il problema. Il problema è se qualcuno paga per avere favori. E, quindi, nella vicenda romana è quello che deve emergere». Salvini si è detto «non preoccupato».
TANTI NEL MIRINO – A tremare, adesso, sono i palazzi del potere. Perché per anni Parnasi ha finanziato, e non sempre in chiaro, movimenti politici e partiti. «Pagavo tutti», diceva al telefono e ieri lo ha ripetuto ai pm. Era l’unico modo per superare gli intoppi burocratici e lavorare, avrebbe confessato. Su quei finanziamenti i carabinieri sono già al lavoro, ma ora l’imprenditore ha fornito elementi che lasciano pochi margini ai dubbi e fanno fare all’inchiesta un salto oltre i confini del Campidoglio.
Un ruolo di primo piano negli affari dell’imprenditore, lo rivestiva Luca Lanzalone, avvocato plenipotenziario, consulente di fatto del Comune di Roma che, per Parnasi, era l’interlocutore ufficiale dell’amministrazione capitolina. Lo ripete più volte e ammette: gli davo consulenze per mantenere buoni rapporti. Mi apriva le porte con i Cinquestelle. Un verbale top secret sul quale la discovery potrebbe avvenire nei prossimi giorni con il deposito al Tribunale del Riesame.
IL PUNTO DI RIFERIMENTO – Lanzalone davanti al gip, aveva respinto le accuse, sostenendo di non avere avuto alcun ruolo formale nel dossier stadio. Confortato dall’assenza di un contratto, aveva sostenuto di non essere mai stato un pubblico ufficiale. E invece a smentirlo, dopo il dg della Roma, Mauro Baldissoni, ieri è stato proprio Parnasi, che ha ricostruito il ruolo dell’avvocato, figura ufficiale dell’amministrazione comunale a partire da dicembre 2016. «È stata la sindaca Virginia Raggi a presentarcelo come il consulente del Campidoglio per il dossier stadio».
L’AVVOCATO – E da quel momento l’avvocato è diventato il nostro punto di riferimento, dice Parnasi. Nulla sarebbe cambiato dopo la nomina alla presidenza di Acea, nella primavera del 2017. Fino al momento degli arresti, Lanzalone era l’uomo del Campidoglio con il quale discutere e risolvere i problemi relativi al progetto di Tor di Valle. L’ultima riunione, ha ricostruito l’imprenditore a verbale, è avvenuta lo scorso maggio. Una circostanza già emersa in qualche modo dalle intercettazioni agli atti dell’inchiesta che, di fatto, smentisce anche le parole della sindaca, secondo la quale l’avvocato, dopo l’incarico in Acea, avrebbe allentato il suo impegno. E Parnasi ammette anche quelle che, per la procura, rappresentano un rapporto corruttivo: le consulenze, affidate e promesse al legale, avevano l’obiettivo di assicurare la benevolenza dell’uomo che poteva sciogliere i nodi.
LA POLITICA – Dalla Lega al Pd, attraverso le fondazioni e poi i contributi elettorali a consiglieri comunali e regionali. Al telefono i collaboratori chiedevano a Parnasi come procedere e lui dava indicazioni: emettere fatture per rendere più difficile il collegamento tra lui e la politica attraverso società schermo, come quelle intestate all’anziana mamma. Il sistema Parnasi consisteva nel pagare per trovare le porte aperte. «Ci sono le elezioni – diceva – io spenderò qualche soldo sulle elezioni, che poi con Gianluca vedremo come vanno girati ufficialmente coi partiti politici eccetera… anche questo è importante, perché in questo momento noi ci giochiamo una fetta di credibilità per il futuro ed è un investimento che io devo fare, molto moderato rispetto a quanto facevo in passato, quando ho speso cifre che manco te le racconto, però la sostanza è che la mia forza è quella che alzo il telefono…».
LE FONDAZIONI – È il 14 febbraio quando Parnasi e i suoi fanno il punto. Riassumono i carabinieri in un’informativa del 18 giugno, che il costruttore «dice che Lega erano 100 e 100, ne facciamo 100 su Pentapigna qua e 100 qua, possiamo utilizzare società nostre». Uno dei suoi assistenti gli specifica che «la strutturiamo una sul giornale e un’altra sulla radio» e gli propone un passaggio pubblicitario «alle tre di notte su Radio Padania». Nonostante l’investimento, Parnasi risponde secco: «No» e si raccomanda che invece siano «preparati dei contratti dal legale di fiducia», Nabor Zaffiri. Nei giorni successivi, quando un fidatissimo dell’imprenditore chiama il tesoriere della Lega, Paolo Centemero, l’argomento è di nuovo la pubblicità: «Il collaboratore precisa che vuole fare un contratto, per fare uscite pubblicitarie radiofoniche», scrivono i carabinieri. I due concordano sul fatto che sia meglio parlarne di persona.
IL COMMERCIALISTA – Col commercialista del Carroccio, Andrea Manzoni, lo stesso collaboratore parlerà di incontrare una «terza persona» in via Bellerio. Di febbraio sono anche i contatti tra Domenico Petrolo, tesoriere dalla fondazione Eyu, vicina al Pd, e il gruppo Parnasi. Agli atti risulterà una consulenza da 150mila euro. Di certo, però, a febbraio Petrolo insisteva perché il pagamento arrivasse, perché, negli «ultimi giorni», li aiuterà molto. Per i carabinieri, il riferimento è alla campagna elettorale.