Sul nuovo stadio della Roma, Virginia Raggi viaggia col freno a mano tirato. Smarrito l’entusiasmo e rimesso nel cassetto social l’hashtag #unostadiofattobene, la sindaca ora procede a tentoni: «Se l’impianto di Tor di Valle si farà? Adesso vedremo, c’è un’attività di verifica. Alla luce delle notizie che escono, sarà fondamentale controllare bene ogni cosa. Si andrà avanti solo se sarà tutto in ordine». Gli assessorati coinvolti, quello all’Urbanistica in testa, hanno preso alla lettera le raccomandazioni della prima cittadina e ormai da giorni stanno vagliando ogni singolo passaggio dell’iter. Dalle modalità di acquisto delle aree a ridosso del Grande raccordo anulare da parte del costruttore Luca Parnasi alle cubature concesse ai proponenti, passando per il rapporto tra l’intervento autorizzato ai privati e il pacchetto di opere pubbliche da consegnare in cambio alla città, le verifiche sono soltanto alle battute iniziali. «Ci vorrà tempo per completare la verifica» , fanno sapere dal Campidoglio. Anche perché l’indagine interna partirà da lontano, dagli atti approvati dall’amministrazione Marino. Così hanno preteso i consiglieri della maggioranza pentastellata. Da una parte — considerate le posizioni del loro consulente numero uno, Luca Lanzalone, e del capogruppo Paolo Ferrara — temono che l’inchiesta sullo stadio possa «diventare la Mafia Capitale del M5S» . Dall’altra vorrebbero portare l’operazione a dama, intestarsi politicamente l’approdo di un investimento da oltre un miliardo di euro nella capitale, negli ultimi mesi più e più volte snobbata dalle grandi aziende. «Ma solo se tutte le carte saranno in ordine», ribadiscono in coro gli eletti grillini. Anche perché i big del Movimento capitolino ( e non) temono che dagli omissis della prima fase dell’inchiesta possano saltare fuori altri nomi di peso nelle gerarchie capitoline.
Il doppio colpo infilato da Parnasi nel lungo interrogatorio davanti ai pm non lascia dormire sonni tranquilli. Prima il costruttore ha ammesso di aver «pagato tutti» sullo stadio «per superare gli intoppi burocratici» . Poi ha individuato in Lanzalone «l’uomo di riferimento in Campidoglio». Quello capace di aprire qualsiasi porta. Adesso, però, l’aria è cambiata a palazzo Senatorio. Cautela massima, nessun salto in avanti. Si attende il cambio di guardia in Eurnova, la nomina di un amministratore da parte del tribunale. E magari pure la risposta alla mail inviata all’ex società di Parnasi subito dopo lo scoppio dell’inchiesta: «Nessuno ci ha risposto — sottolinea chi è al lavoro sul progetto — e in questo modo viene a mancare uno dei due privati interessati a realizzare l’impianto di Tor di Valle. La Roma potrebbe diventare il proponente unico? Per ora non si è mosso nulla. La mail era inviata per conoscenza anche al club giallorosso e per ora neanche da loro sono arrivati cenni concreti». In attesa di un nuovo contatto — dalla visita del dg romanista Mauro Baldissoni alla sindaca Virginia Raggi in Comune sono passate più di due settimane — si andrà avanti con le verifiche. Se poi dovesse saltare l’operazione, il Pd, che pure vede l’ex assessore regionale Michele Civita tra gli indagati, sa già contro chi puntare il dito. «Il centro della presunta corruzione per lo Stadio della Roma era il M5S — attacca il deputato dem Michele Anzaldi — le attenzioni di Parnasi per Lanzalone derivano dal fatto che l’avvocato, su esplicita indicazione della sindaca Raggi, era il referente del Campidoglio sulla procedura. A decidere sullo Stadio era il Campidoglio a guida grillina, non altri partiti, ed è stata proprio la giunta 5S, insieme a Lanzalone, a stravolgere il progetto della giunta Marino, rispondendo alle richieste dell’imprenditore. Il risultato? Meno opere pubbliche per i cittadini, più consulenze per chi gestiva la partita a nome della giunta. È un fatto».