Caro direttore, quando ieri mattina ho letto il Tempo, credevo di essere vittima di un’allucinazione, invece era tutto vero, allora ho pensato Devo mettere per iscritto le riflessioni che in un romanista acceso può ispirare l’ennesima perla generata dalla fervida mente dei nostri malridotti dirimpettai. Confesso di aver esitato. Ma davvero – mi chiedevo – è il caso di contribuire a un dibattito campanilistico basato sul nulla? Sulla effettiva dimensione storica di questo nulla lascio la palla a chi ha competenza per approfondire e rispondere a regola d’arte.
Io invece sono più attratto dalla piega sociologica che questa patetica vicenda assume, se la si studia in un quadro più ampio di Fenomenologia della Sfiga, iniziato il 9 gennaio 1900 e tuttora in corso: con modalità di partecipazione e coinvolgimento emotivo diversi, in linea con i tempi che cambiano e con i protagonisti che si susseguono in questo campionario di mestizie, sportive e non.
Un tempo, bisogna ammetterlo, il corollario di sconfitte,retrocessioni,scandali e illeciti di panatosi negli anni conferiva al mondo laziale un’aura quasi mistica di dolorosa dignità; e un po’ tutti fra loro, forse per dare un senso a un’esistenza inutile e razionalmente non giustificabile, vi si crogiolavano compiaciuti. Anzi, peri più illustri e longevi fra il oro comunicatori il ricorso alla lacrima facile è diventato un emblema di riconoscibilità,un inconscio tentativo di esorcizzare la più fedele compagna delle loro vite travagliate: la Sfiga.
Poi però,caduto dal cielo a mo’ di meteorite, regalo celeste tanto inaspettato quanto definitivo nella sua grandiosità, si è materializzato Lui, il Titano, la creatura mitologica sognata per anni dai romanisti, l’eroe che ha sapientemente trasformato la dignitosa consapevolezza della propria povertà calcistica in un definitivo annientamento, senza sogni né speranze.
Già in quel pomeriggio di luglio 2004 era stato profetico: «Vi ho preso al funerale e vi porterò al coma irreversibile», ovvero la prefigurazione di una inutile tranquillità, o di tranquilla inutilità, fate voi. L’unico sussulto possibile di fronte a questa prospettiva da ologrammi era la vocazione antiquaria: il «semo nati prima», «o scuddetto der quattordici», e ora «sete ripescati». E non credo sia finita qui: il ridicolo, differenza della Sfiga, non conosce limiti.