Nel primo tempo la Roma è stata esattamente tutto quello che non dovrà più essere: sulle gambe, emaciata, svogliata (addirittura signori!?), stanca, pallida, lenta, paurosa, intimidita, irritante, grossolana. Con l’aggravante che era iniziata in maniera quasi magica, un minuto, un secondo, quello che era, colpo di tacco stile giallorosso palla nel sacco. Olè. Olè un cazzo: poi è stato un incubo e se la Roma vuole essere la Roma credo debba vedersi il primo tempo di ieri per un’ora al giorno fino a Milano e anche durante la sosta, e anche sempre.
Senza gioco, senza nerbo, dopo un lavoro di due mesi insieme, dopo un vantaggio che avrebbe caricato chiunque, chiunque tranne la non Roma del primo tempo. L’Atalanta sembrava una copia migliore del Barcellona di Guardiola, la partita dell’anno scorso contro di loro pure, a confronto di questo un ricordo persino dolce. Perché? Come mai? Ma che è? Sono queste le domande sacrosantissime. «Troppo brutti per essere veri» la risposta di Di Francesco, ma quelli siamo stati. E il peccato era doppio, triplo, al quadrato, perché quello che era già capitato tutto attorno meritava un’altra risposta, meritava almeno quella arrivata nel secondo tempo. Col cuore, sporca, con l’orgoglio, con mille e troppi millemila sbagli, ma finalmente con le palle, a guardia alta poi anche senza guardia ma in piedi a darsele come Hagler-Mugabi, Hagler-Hearns, finalmente come una squadra che ha reagito.
Non so se dipende solo dal 4-2-3-1 rispetto al 4-3-3, ci saranno secoli per discutere di questo, sembra chiaramente anche per questo, ma sembra anche più chiaramente perché almeno è uscita l’anima. Non può bastare mai la Roma di ieri, ma si può ripartire da questo recupero, e per esempio da Alessandro Florenzi, che ieri è stato tanto tanto romanista per come l’ha giocata, per come ha esultato, e per tutta una serie di atteggiamenti che l’occhio romanista riconosce. Il terzo elemento è il primo, il ricomincio da 3 e il ricomincio da te e basta: la Curva Sud.
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